sabato, Settembre 14, 2024

Perché negli Stati Uniti è scoppiata la crisi del latte artificiale

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Per certi aspetti la questione della carenza di latte artificiale negli Stati Uniti ricorda i primi momenti della pandemia, quando la paura di rimanere senza beni di prima necessità aveva spinto a svuotare gli scaffali dei supermercati. E la pandemia c’entra anche stavolta, così come la corsa ad accaparrare tutto il possibile nel timore di rimanere senza, ma il caso stavolta riguarda soprattutto un bene di prima necessità, una fascia della popolazione e un paese: il latte artificiale per bambini molto piccoli negli Stati Uniti appunto. La questione è seria e va avanti da mesi ormai, e si acuita nelle ultime settimane, generando una serie di problemi a cascata. Ma partiamo dall’inizio.

Le origini 

Da una parte la carenza del latte artificiale non è che un esempio delle carenze sperimentate con l’arrivo e il proseguire della pandemia. L’industria del latte artificiale, così come tantissime altre, si è trovata a fare i conti con la mancanza di materie prime e personale, racconta il New York Times, attento osservatore di tutta la crisi. Dall’altra il caso della carenza di latte artificiale negli Stati Uniti è dovuta in buona parte ai problemi che hanno riguardato uno dei produttori d’oltreoceano: la chiusura della Abbott Nutrition nell’impianto di Sturgis, in Michigan. L’azienda ha chiuso dopo che a febbraio aveva ritirato dal mercato alcuni dei suoi tipi di latte artificiale in polvere (Similac, Alimentum, e EleCare) per la segnalazione di infezioni in quattro bambini che avevano consumato prodotti dalla Abbott. Il timore era la contaminazione da Cronobacter, un batterio che può dare origine a infezioni alimentari molto gravi nei neonati. Due dei bambini erano morti e l’infezione da Cronobacer, diceva la Food and Drug Administration (Fda), poteva aver contribuito alla morte dei due bambini.

Se la chiusura di un solo stabilimento può sembrare poca cosa per giustificare la crisi attuale, comprendere come funzioni l’intera industria del latte artificiale negli Stati Uniti può far ricredere. La Abbott, da sola, controlla circa metà del mercato, scrive il Nyt, ma di per sé parliamo di un settore popolato in mano a pochi, ed estremamente poco competitivo negli Usa, dove il 98% del latte artificiale consumato è quello che proviene dallo stesso paese. Ed anche questo è, o per lo meno era un problema, fino a qualche giorno fa.

Kevin Ketels, esperto di supply chain management, Wayne State University, sulle pagine di The Conversation spiega come l’origine della crisi del latte vada ricercata in questi monopoli, cui ha contribuito lo stesso governo. I dati, spiega, sono questi: circa il 90% del mercato è controllato da pochissime aziende: Abbott, Reckitt e la Nestlé le principali, che sono anche le uniche che possono fornire i loro prodotti al programma Wic, un programma di assistenza sanitaria e nutrizionale federale, volto a supportare mamme e bambini con difficoltà economiche nella prima infanzia attraverso grant versati ai singoli stati. E a sua volta il programma Wic – tramite cui i singoli stati siglano accordi con uno dei produttori approvati – domina in larga parte le vendite nel settore. Va da sé che, in un panorama popolato da pochi e regolato perché sia difficile l’ingresso di altri player con le importazioni ridotte al minimo, un problema produttivo a uno dei massimi produttori diventa un problema per l’intera industria. Cui si è cercato di rimediare in diversi modi, sostanzialmente tesi a rilassare le regole ora in vigore.

Come uscire dalla crisi 

Ristabilire la produzione da parte del player oggi mancante è sicuramente d’aiuto per combattere i viaggi della speranza dei genitori in cerca di latte artificiale, i limiti negli acquisti, i tentativi di produzione home-made così come quelli di condivisione di latte materno. Questi ultimi  sconsigliati dai pediatri e dall’Fda, per il rischio di contaminazioni, di formule inadeguate se non rischiose dal punto di vista nutrizionale per il bambini più piccoli e per la mancanza di controlli. Alla Abbott era già stato accordato l’ok per il rifornimento di formule speciali ai bambini con particolari bisogni metabolici e la produzione nello stabilimento chiuso riprenderà agli inizi di giugno (dopo aver comunicato che non sono stati trovati sono collegamenti con le infezioni dei bambini e i prodotti realizzati dall’azienda). Ci vorrà un po’ per riportare a regime i rifornimenti e nel mentre il governo Usa procede su più fronti: è stato invocato il Defense production act per aumentare la produzione, sono state attivate importazioni di tipi di latte speciale dall’Europa e sono state allentate anche le stesse regole dell’Fda sull’importazione dall’estero, così da aumentarne la disponibilità. L’Fda infatti impone una serie di rigide regole riguardo la dichiarazione in etichetta dei requisiti relativi alla produzione e alla preparazione stessa del latte e agli aspetti nutrizionali. Aver allentato queste regole sta già producendo i suoi risultati: l’agenzia ha appena annunciato che un’azienda britannica invierà due milioni di barattoli di latte artificiale negli Stati Uniti.

Basterà tutto questo? È probabile che la riapertura, gli aiuti che arrivano dall’estero risolveranno la crisi del latte nel giro di qualche settimana. Ma a voler guardare oltre – oltre a un auspicabile ridisegno del mercato oltreoceano – il pediatra Steven Abrams della University of Texas suggerisce anche altro per evitare che questo accada di nuovo. Scrive infatti su The Conversation: “Credo che l’America debba anche rivedere le sue politiche di supporto all’allattamento materno. Non fraintendetemi, alcuni genitori avranno sempre bisogno di latte artificiale. Ma le donne che volessero allattare al seno dovrebbero poter contare su qualsiasi tipo di aiuto possibile. Questo include sia migliori politiche di congedo famigliare, e aiuti per le madri in difficoltà economiche che vogliano estrarre latte al seno e conservarlo mentre lavorano”.

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