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Con questo bagaglio di informazioni in mente, guardiamo cosa hanno fatto i creatori di Borealis. Nel loro esperimento, gli scienziati si sono serviti di una macchina fotonica che usa le particelle di luce (i fotoni, per l’appunto) per rappresentare i qubit, per risolvere la cosiddetta boson sampling challenge, ossia un problema fisico/computazionale in cui si “preparano” dei fasci di luce, li si indirizzano verso una rete di specchi e separatori di fasci e poi si conta quanti fotoni arrivano al rivelatore posto alla fine del “percorso”. Un problema la cui risoluzione non ha alcuna implicazione pratica particolarmente importante, ma che costituisce un ottimo “banco di prova” per testare le prestazioni di un computer.
Fino a questo momento, si era tentato di risolvere il problema con un numero di fotoni compreso tra 76 e 113; Borealis è riuscito ad arrivare a “contare” ben 219 fotoni, con una media (rispetto a tutte le simulazioni) di 125, in un tempo di 36 microsecondi. Un’impresa che, stando sempre ai calcoli dei ricercatori, un computer tradizionale avrebbe impiegato circa 9mila anni per portare a termine.
Il risultato dell’esperimento mostrerebbe che il computer quantistico in oggetto è in grado di ottenere il cosiddetto vantaggio quantistico, un obiettivo cercato a lungo da chi lavora nel settore. Di cosa si tratta? Sostanzialmente, per vantaggio quantistico si intende la capacità di un processore (quantistico) di superare le prestazioni di un processore classico in un’attività computazionale ben nota e definita. Esattamente ciò che avrebbe fatto Borealis: “Si tratta – spiegano da Xanadu – del primo computer quantistico fotonico completamente programmabile in tutte le sue porte logiche e in grado di ottenere il vantaggio quantistico”.
La strada, comunque, è ancora lunga e tortuosa: “Per avere a disposizione un processore quantistico effettivamente utile – spiega in un editoriale che accompagna il paper Daniel Brod, della Federal Fluminense University di Rio de Janeiro, in Brasile – ossia in grado, per esempio, di eseguire attività legate alla crittografia o alla ricerca di nuove molecole in ambito farmaceutico, servirebbe un computer con milioni di qubit robusti e controllabili. I processori finora realizzati ne hanno meno di 100”.