martedì, Aprile 16, 2024

Il film più serio sul basket è quello con Adam Sandler

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Come già in Diamanti grezzi qui Sandler non si limita solo a “funzionare bene” (quel che accadeva in Ubriaco d’amore), ma guida tutto il film, ne imposta ritmo e sentimenti oltre a farsene costantemente ancora di salvataggio. Quando c’è bisogno di rimettere tutto sui binari giusti le inquadrature finiscono inevitabilmente sul suo volto, su quegli occhi tristi e quella faccia da perdente irredimibile. Quando ascolta le brutte notizie, quando prende pugni dalla vita Sandler è imbattibile, racconta tantissimo anche senza parlare e indica a tutto il film la via, ovvero l’esatta mescolanza di drammatico e inspirational da utilizzare per trasformare una sceneggiatura pedissequa e banale in qualcosa di vibrante e sincero. Spara grandi massime (“I 50enni non hanno sogni, solo incubi ed eczema”) e non molla mai Hernangòmez, cioè non lo lascia mai in scena da solo se quando è sul campo (ma anche lì la regia stacca sempre su Sandler e dalla sua recitazione noi capiamo come sta andando il gioco), gli dà i tempi giusti, i ritmi giusti e ci fornisce l’impressione che anche quel giocatore non proprio espressivo stia recitando.

Un lavoro extra che testimonia quanto il film sia un prodotto anche di Sandler (che non a caso ne è produttore insieme a LeBron James). Lui, con quel tutore alla mano frutto di una backstory che ci verrà raccontata al momento giusto, con una barba da uomo medio e una famiglia sulle spalle (gran personaggio la figlia!), attraversa nel film lo schema classico di rivelazione, caduta, purificazione e ascesa che solitamente tocca all’atleta. Stavolta è il suo arco narrativo a conquistare, questa è senza dubbio la storia dell’allenatore e del suo tentativo di cambiare la vita puntando tutto su di sé e sulla sua scoperta. Quegli interni morbidi dalla luce soffusa, quella color correction tenue e autunnale e soprattutto il camerawork complicato e a mano che avvicina tutto ai volti, sono la scelta di Jeremiah Zagar (il regista) per elevare tutta questa storia banale su un piano più umano. È un quasi esordiente Zagar ma dimostra di adattarsi benissimo al progetto, non ha nessuna riverenza per i veri giocatori (che, vale la pena ripeterlo, chi non li conosce non capirà automaticamente che non sono attori, tanto il film li tratta e li illumina e inquadra alla stessa maniera) e soprattutto gestisce molto bene il ritmo.

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