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Quando ci incontriamo, Oliveira è in pieno allenamento per un incontro di pugilato a Londra contro un altro youtuber (seguendo il modello istituito da Jake e Logan Paul), mentre Bengtson si è buttato a capofitto nel Web3. Il loro strepitoso successo gli ha concesso un privilegio raro: dopo anni di gaming e streaming e ancora gaming, non devono più giocare ai videogame per vivere. «Tracannare acqua», spiega Bengtson, è in qualche modo diventato una carriera molto lucrativa. «Ovviamente, adesso siamo ricchi; abbiamo il grano. Vivo in ville da quando sto a L.A. Case pazzesche, disgustose. Delle cazzo di case con 20 camere da letto e un lago in giardino. Tutti guidano auto sportive e indossano dei Richard Mille e roba del genere».
Ma man mano che scendevo più in profondità nelle acque di FaZe, faticavo di più, e non di meno, a capire che genere di azienda sia FaZe Clan. È ingarbugliata, complicata, al contempo frivola e preveggente in un modo che disarma. Certi giorni sembra un gioco di contenuti di vecchia scuola basato sul talento; altri, pare destinata a costruire un futuro cambiando i paradigmi. Sembrava che la risposta cambiasse a seconda della persona con cui parlavo, e di quando e dove avveniva la conversazione. Per la maggior parte delle aziende, questo genere di incertezza esistenziale — o piuttosto, l’incapacità della maggior parte della gente all’esterno di dire che cos’è che si fa esattamente qui — sarebbe una cosa molto negativa. Ma FaZe Clan scommette che questa vaghezza, insieme alla sua diffusione e ambizione, le permetterà niente meno che di forgiare il futuro dell’intrattenimento.
Le carte in tavola: non sono più di tanto un giocatore di videogame. Possiedo una PlayStation ma la tiro fuori dall’armadio solo per le emergenze. Preferisco una partita di FIFA contro un amico a Fortnite contro un estraneo. Conosco un sacco di gente che gioca ai videogiochi, ma meno persone che si identificano orgogliosamente come gamer — o, questione più pressante, che probabilmente spenderebbero soldi in merci destinate ai gamer. Non avevo sentito parlare di FaZe Clan fino a un paio di anni fa, quando ho letto dei suoi piani di realizzare un lungometraggio con lo youtuber FaZe Rug.
Kai Henry, che è entrato in azienda in qualità di chief strategy officer alla fine del 2020, spiega che l’appeal a volte sconcertante del gruppo ha in realtà più cose in comune con le tradizionali narrative delle star di quanto avessi capito. «È partito tutto con la cosa più aspirazionale che potesse accadere», dice. «Un gruppo di ragazzi normali si conosce su internet, gioca ai videogame, e poi tutti i suoi membri diventano delle cazzo di rock star. Merda, è una storia vecchia di 2.000 anni». Non solo, continua, il modo in cui sono arrivati alla fama ne assicura la durata. Mentre una generazione più vecchia di appassionati di cinema era riuscita a creare un rapporto con Tom Cruise benché si facesse vedere nella loro vita soltanto a intervalli specifici (una o due volte l’anno, per due ore alla volta, e sulle riviste o nei programmi di tarda serata) e in condizioni molto specifiche (dentro a una sala buia, fredda, con il pavimento appiccicoso e che puzza di popcorn, o sulla stampa o in tv), i fan di FaZe vedevano i loro creatori preferiti più volte alla settimana, e li vedevano fare le stesse cose che facevano loro: giocare ai videogame e scherzare con gli amici. «Tutta una generazione di persone ha avuto modo di vederlo succedere», dice Henry, agganciandosi al vantaggio iniziale di FaZe Clan sul mercato. «È in un certo senso cementato, ed è diverso dal raccogliere 200 milioni di dollari da una società di venture capital e lanciare un gruppo di eSports».