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Il personaggio più ammirato di oggi si racconta a Vanity Fair Italia. Un’intervista esclusiva alla nobildonna che ha conquistato tutti: Drusilla. E che per la prima volta ha accettato di far partecipare anche il suo “creatore e alter ego” Gianluca Gori. L’attore, autore e cantante si racconta a tutto campo. Lo fa alla sua maniera irresistibile, intensa, profonda e sincera, perché “La scaltrezza e la furbizia mi fanno schifo. Essere furbi è una trovata di chi ha l’abitudine di alimentare la propria intelligenza con le scorciatoie”.
Il passato, quello vero e quello inventato, il presente, Sanremo, ma soprattutto si è aperto sulla diversità, l’unicità e il diritto di essere se stessi.
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A dire il vero vorrei intervistare tutti e due.
«È una cosa che non ho mai fatto. Lo so, lei mi dirà, ma è il segreto di Pulcinella. Però è anche un tradimento. È come la madre che sa che suo figlio è omosessuale ma quando poi se lo vede a letto con un ragghettone sportivo, be’ è un’altra cosa…».
Dove finisce Gianluca e dove inizia Drusilla?
«Non ci sono limiti. Perché Drusilla non prende lo spazio di nessuno. È tutto naturale. Com’è naturale che nell’Amleto di Shakespeare a un certo punto Polonio muoia.
Qui dentro ognuno è al suo posto. E i pensieri vengono da un unico assemblamento di valori».
La sua è una maschera come quella del teatro classico?
«Vede, le maschere non nascondono. Rendono solo più fruibile il contenuto. È come quando dici “ti amo” a una persona in un modo goffo o distratto perché non hai il coraggio di guardarla negli occhi. Permettono di ascoltare senza sentirsi minacciati».
In Rai conduce un programma classico, tradizionale. Ma lei affronta tutto con spirito contemporaneo, nuovo, senza nostalgie.
«Ci vuole lealtà. E chiedersi: che ci sto a fare qui? E questo significa mettersi in gioco nel momento in cui si vive. La contemporaneità è una storia di lealtà intellettuale ed emotiva».
Come mai, secondo lei, la contemporaneità continua ad avercela con le donne, con la loro libertà, col loro diritto ad autodeterminarsi, per esempio, col diritto all’aborto?
«Sempre per un fatto di lealtà. È da sempre così: la storia delle società ha un problema di rapporto con l’individuo. Perché dalla preistoria gli stereotipi ci tranquillizzano. La società ce l’avrà sempre con le donne perché rivedere lealmente la figura femminile presuppone di scalzare altre visioni dell’uomo che sono quelle che ci hanno tranquillizzato da secoli».