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Gli organi che forniranno la certificazione alle imprese, oltre a essere accreditati da Accredia, l’ente unico nazionale di accreditamento designato dal governo, dovranno rispettare a loro volta i contenuti della prassi, impegnandosi cioè per primi a raggiungere gli obiettivi di parità di genere.
La parità di genere rientra anche nella missione numero cinque del Pnrr e l’obiettivo è avere entro il 2026 almeno 800 imprese certificate. Non è ancora entrato in vigore, ma il sistema di certificazione di genere è già conosciuto dal 69% delle grandi e medie imprese che hanno avviato la transizione verso la sostenibilità, mentre le piccole si fermano al 57% .
Elena Bonetti, ministra per le Pari opportunità e la famiglia, intervenendo nella discussione, ha sottolineato che “la nuova certificazione di genere non è un bollino rosa, ma uno strumento innovativo che definisce un processo migliorativo nel mondo dell’impresa”. L’investimento delle aziende in queste aree, ha continuato Bonetti, “deve diventare conveniente per loro, così poi ne beneficerà tutto il Paese”.
La Certificazione della parità di genere, secondo l’avvocata Andrea Catizone, “è uno strumento virtuoso, pensato per la prima volta a favore delle aziende” e tramite il quale il lavoro femminile diventa “qualificante e conveniente” per il datore di lavoro, anche in termini di “reputazione” aziendale. Per Catizone è importante però che l’intervento sia strutturale e contribuisca a cambiare la “cultura aziendale e manageriale”, soprattutto “nelle piccole imprese”.
La certificazione si innesta nella Strategia nazionale per le pari opportunità 2021-2026 che si propone di raggiungere entro il 2026 l’incremento di cinque punti nella classifica dell’Indice sull’uguaglianza di genere di Eige, rientrando tra i primi dieci paesi europei. Colmare il divario di genere non è solo un obiettivo sociale ma anche di sviluppo. Se le donne che lavorano fossero la stessa percentuale degli uomini il Pil aumenterebbe tra il 9% e l’11%, secondo le stime del Fondo monetario internazionale (Fmi), con un guadagno intorno ai 200 miliardi di euro.
Per un cambio di passo il momento è cruciale, perché due anni di pandemia hanno acuito la disparità uomo-donna nel mondo del lavoro, come ha ricordato anche Stefano Cuzzilla, Presidente 4.Manager e Federmanager. “Per crescere – ha proseguito Cuzzilla – abbiamo bisogno delle competenze delle donne ma anche di un sistema organizzativo che sia in grado di valorizzarle”. Il sistema di certificazione che entrerà in vigore è “una strada effettiva che permette di azionare un meccanismo virtuoso nelle aziende con ricadute riparative importanti sulle disparità di genere” ha spiegato Cuzzilla. “L’esperienza – ha continuato – ci dimostra che le aziende con governance mista sono più competitive e reagiscono meglio nei contesti di crisi. L’equilibrio di genere fa crescere il Pil”.
L’Italia “non si può più permettere di non attivare le competenze delle donne” che sono anche generalmente più istruite degli uomini, ha affermato la ministra Bonetti. “Questa è una delle leve di sviluppo principali sui cui il paese deve investire per raggiungere gli obiettivi prefissati” ha detto Bonetti. “Altrimenti è come avere a disposizione delle giocatrici di Serie A in squadra, ma scegliere di lasciarle in panchina” ha concluso la ministra.