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Lo scorso giovedì sera, il luogo più in voga di Parigi è stato un club per gentiluomini vicino agli Champs Elysée. Supreme ha organizzato nella capitale francese una delle sue più sontuose feste dall’inizio della pandemia. Nel locale l’illusionista David Blaine faceva apparire le carte dalle orecchie degli skater sbalorditi, mentre le ballerine ondeggiavano nelle vicinanze indossando magliette con il caratteristico logo del marchio fondato nel 1994. Tra i presenti c’erano membri del team Supreme di Parigi, Londra e New York, ragazzi dei club, rapper, addetti alla moda e artisti del calibro di Kunle Martins. In altre parole, si trattava di un classico party Supreme, organizzato a livello globale. Si sentiva anche qualcosa di diverso nell’aria. Ad esempio, una schiera di dipendenti di Thom Browne, vestiti con i loro consueti short suit, attendeva di prendere un drink al bar. La folla in fila all’esterno era vestita con abiti firmati. Per la prima volta nella sua storia, Supreme era ufficialmente sbarcato alla settimana della moda.
Perché proprio ora? Ho domandato al nuovo direttore creativo di Supreme, Tremaine Emory. A febbraio, la sua nomina è stata la prima mossa di rilievo dopo l’acquisizione del marchio da parte di VP Corp per 2,1 miliardi di dollari avvenuta nel 2020. Si trattava di un chiaro indizio del cambiamento in atto mentre Supreme sta per arrivare alla fine del suo terzo decennio di vita. Emory ha fondato Denim Tears, un marchio di abbigliamento impegnato a promuovere le tematiche della giustizia razziale e dell’attivismo culturale. Al pari dell’amico e collaboratore Virgil Abloh, Emory non è vincolato alle regole dell’industria della moda; il suo progetto, per come la vede lui, è importante solo a tale scopo. Quando ha annunciato una partnership con Converse nel 2020, ha chiesto alla casa madre della stessa Converse, Nike, di impegnarsi a promuovere un reale cambio di rotta nella profondità del proprio messaggio sociale prima di approvare la sneaker. Supreme ha una ricca storia di attivismo politico, ma incarna anche un certo senso di superficialità nei confronti dei problemi del mondo. La nomina di Emory sembra un impegno ad approfondire il coinvolgimento del marchio nelle questioni politiche e culturali, a un livello che va oltre le magliette dalla scritta «Fuck the President».
I primi capi disegnati da Emory per il marchio usciranno quest’autunno, mentre la sua prima collezione completa è prevista per la prossima primavera. In ogni caso, il suo impatto si fa già sentire. Emory è arrivato alla festa verso le 23 e ovunque andasse, la folla lo seguiva. Anche se è stato assunto al di fuori dell’azienda, i membri di Supreme erano già pronti a mangiare dalla sua mano. Emory ha spiegato che la festa era stata organizzata prima del suo arrivo. Entrambe le iniziative, la festa e il nuovo incarico di Emory, sono intimamente connesse: insieme, rappresentano un riconoscimento del fatto che Supreme è un elemento chiave nel sistema della moda globale, alla stregua di qualsiasi altro marchio di lusso presente nel programma ufficiale della settimana della moda. «È tutto collegato ora», ha spiegato Emory. Il ritorno di Supreme sulle passerelle non è scontato: in passato è già stato fatto grazie a Kim Jones di Louis Vuitton. Però, sotto la guida di Emory, è sicuro che Supreme sposerà ancora di più l’universo fashion e esalterà quanto abbia già cambiato questa industria. «Tutti i marchi di moda cercano di realizzare ciò che Supreme ha fatto per 30 anni. Perché non partecipare al Super Bowl, visto che abbiamo contribuito a scrivere le regole del gioco seguite dalla maggior parte degli altri?»
Emory non era in città solo per la festa di Supreme. Aveva, infatti, una serie di appuntamenti con gli showroom per la Primavera 23 di Denim Tears, ha presentato i prodotti della sua nuova collaborazione con Levi’s e ha assistito alle sfilate dei propri amici e collaboratori, anche se ha perso la sfilata di Louis Vuitton dopo che la sicurezza non ha permesso a lui e ad Acyde di entrare. Il segno, forse più evidente di qualsiasi altro, che la rivoluzione iniziata da Abloh non è ancora completa. Lui e Acyde hanno anche fatto da DJ al party biennale di GQ del venerdì sera a Parigi presso L’Avenue, una tradizione iniziata nel giugno del 2018 insieme ad Acyde e Abloh.
Da quando Abloh è scomparso l’anno scorso, c’è un vuoto incolmabile al centro della Fashion Week di Parigi ed Emory lo sta riempiendo più di chiunque altro. Tra la guida del team di designer di Supreme, la gestione di Denim Tears, le feste e le visite a sostegno di amici e collaboratori, è presente a Parigi tanto quanto lo era Abloh e si impegna a essere il tessuto connettivo tra l’establishment e la nuova generazione di designer e creativi. Anche il modo in cui Emory si esprime, attraverso potenti metafore ricche di riferimenti, ricorda il linguaggio usato da Abloh per trasmettere le sue idee.
Si pensi, ad esempio, alla citazione della leggenda del cavallo di Troia da parte di Emory. La filosofia creativa di Abloh, notoriamente, consisteva nell’«approccio al 3%». Credeva che per trasformare un concetto preesistente in uno nuovo bastasse cambiarlo del 3%. L’approccio di Emory è altrettanto diretto. Secondo lui, un maglione di successo è quello che trasforma chi lo indossa in una sorta di cartellone pubblicitario dedicato a ricordare un importante evento storico o a una riflessione profonda sull’attuale situazione sociale. Durante la settimana di Parigi i suoi cartelloni sono apparsi dappertutto. La collezione Primavera 23 di Emory con Levi’s, incentrata sul denim stampato a trapunta, illustra la storia del popolo Gullah Geechee e degli schiavi della Carolina che negli Stati Uniti producevano indaco da esportare nel Regno Unito.
Per il GQ party, Levi’s ha realizzato una serie di 250 giacche in denim con la data del 1848: l’anno in cui la Francia ha abolito formalmente la schiavitù ad Haiti. In un recente reportage suddiviso in cinque capitoli, il New York Times ha rivelato che, come condizione per la conquista della libertà da parte degli haitiani, la Francia ha imposto un debito di 150 milioni di franchi alla neonata nazione. Una clausola capestro che l’ha lasciata finanziariamente paralizzata fino ai nostri giorni.
«Tutto quanto è accaduto di recente ad Haiti ha un motivo ed esiste una precisa ragione per cui quella nazione è così in crisi», ha affermato Emory che ha spiegato di essere rimasto profondamente colpito dal reportage del Times. «L’Europa e la Francia in particolare, giocano un ruolo importante. L’opinione pubblica si chiede perché le persone non riescono a darsi una regolata laggiù. Il problema non è che sono pigri o diversi da noi. È una questione storica e di sistema». Un’altra sorpresa post-spettacolo di questa settimana consisteva in un asciugamano brandizzato. Non sono molte le feste che regalano giacche con la scritta «La Rançon» (il riscatto), ma Emory non è un organizzatore di feste e non è interessato a produrre normale merchandising. «Denim Tears vuole fare conoscere le storie della diaspora africana, che si tratti di Alvin Ailey o di una giacca che parla di Haiti e del riscatto», ha detto Emory, sottolineando che Levi’s non si è mai opposto a nessuno dei progetti «Cavallo di Troia» da lui presentati.
Qualora Emory sentisse un po’ di pressione per essere il più diretto successore culturale di Abloh, non lo dà a vedere. «Non so per quale motivo, ma i ragazzi pensano che io sia cool. Le mie amicizie, il modo in cui mi vesto, il look, sono il cavallo di Troia. Vogliono essere associati a me e alle persone che indossano le mie cose». Attorno alle 4 del mattino, quando la festa di GQ si è conclusa, gli ospiti si sono accaparrati sulla porta le ultime giacche Denim Tears. Quella sera, soprattutto alla luce delle tristi notizie provenienti dall’America, Emory sembrava più che mai determinato e apprezzava la sua nuova posizione di arbitro della moda in merito a questioni difficili ed essenziali. «Per me è l’unico modo di lavorare», ha concluso. «Indipendentemente dal motivo, sono felice che le persone possano indossare abiti legati a un significato profondo».