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Sono passati cinque anni da quando il parlamento italiano ha approvato la legge che regolamenta il nuovo regime fiscale dedicato alle locazioni immobiliari al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa. Eppure questa non è ancora pienamente applicata, in quanto da tempo si trascina un contenzioso tra lo Stato italiano e Airbnb, uno dei principali protagonisti dell’intermediazione online. La misura, tra le altre cose, imporrebbe infatti ai portali immobiliari di comunicare all’autorità fiscale i dati del contratto di locazione e soprattutto di agire da sostituto d’imposta applicando una ritenuta del 21% (la cosiddetta cedolare secca) sull’ammontare dell’affitto totale. Il gruppo Airbnb ha quindi presentato ricorso contro tale obbligo, sostenendo che questi rappresenterebbe un impedimento alla libera prestazioni dei servizi.
La diatriba si è quindi trascinata per vari gradi di giudizio, approdando infine alla Corte di giustizia europea. Sebbene non si sia ancora giunti a una conclusione definitiva della vicenda, oggi è stato fatto però un passo importante verso la soluzione del caso. Nelle sue conclusioni, l’avvocato generale Maciej Szpunar ritiene infatti che “l’articolo 56 Tfue 4 sulla libera prestazione dei servizi non osti all’obbligo di raccogliere e fornire informazioni, né all’obbligo di ritenuta fiscale. Per quanto riguarda la ritenuta fiscale, pur rilevando che essa costituisce un onere ben più importante rispetto a un semplice obbligo di informazione, egli esclude che essa costituisca una discriminazione indiretta nei confronti dei fornitori transfrontalieri, come afferma Airbnb sostenendo che quasi tutte le piattaforme presenti sul mercato italiano sono stabilite in altri Stati membri. Secondo l’avvocato generale, è perfettamente coerente imporre l’obbligo di ritenuta fiscale agli intermediari che intervengono nel pagamento dei canoni di locazione, poiché l’attività di un gran numero di persone fisiche che non sono soggette agli obblighi gravanti sui professionisti è, per sua natura, difficile da controllare ai fini fiscali. Inoltre, il regime fiscale ha ad oggetto non l’assoggettamento a imposta dei
servizi di Airbnb, bensì quello delle attività di locazione di beni immobili situati nel territorio italiano, che stanno alla
base di tali servizi. Pertanto, il regime in discussione rientra senza dubbio nella competenza fiscale del governo italiano“.
Lo stesso avvocato ha invece sostenuto che l’obbligo di nominare un rappresentante fiscale (altra misura contenuta nella legge) costituisce viceversa una restrizione sproporzionata alla libera prestazione dei servizi. Le parole di Maciej Szpunar segnano quindi un deciso punto a favore delle ragioni dello Stato italiano, e delle richieste da tempo avanzate dagli albergatori (Federalberghi in primis) per contrastare quella che molti considerano una forma di concorrenza sleale. Ma non si può dire ancora che sia stata scritta la parola fine alla vicenda. Va precisato infatti che le conclusioni dell’avvocato generale non vincolano la Corte di giustizia. Il compito dell’avvocato generale consiste nel proporre alla Corte, in piena indipendenza, una soluzione giuridica nella causa per la quale è stato designato. I giudici della Corte cominceranno quindi adesso a deliberare, con la sentenza che sarà pronunciata in una data successiva.