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Nella mattina di venerdì 8 luglio, nella prefettura di Nara, l’ex premier giapponese Shinzo Abe è stato vittima di un attentato. Il responsabile sarebbe un ex membro della marina e il movente non è ancora stato rivelato, anche se non si esclude che possa avere a che fare con le posizioni politiche dell’ex premier. L’attentato avviene a soli due giorni dalle elezioni parlamentari previste per il 10 luglio. Secondo la televisione pubblica giapponese, che a sua volta cita un politico del Partito liberal-democratico, a cui l’ex premier appartiene, Abe sarebbe morto.
Abe appartiene a una nota famiglia politica giapponese. Suo nonno Kishi Nobusuke era stato un alto dirigente del Manchukuo (lo stato fantoccio installato dai giapponesi in Manciuria durante la Seconda guerra mondiale) nonché un esponente di spicco della destra post-bellica, riconvertito alla collaborazione con gli Stati Uniti dopo la fine della guerra. Anche suo padre, Abe Shintaro, era stato un importante membro del governo negli anni Ottanta.
Conosciuto come il premier più longevo nella storia del Giappone, Abe è sicuramente il politico più influente dell’ultimo decennio. In occidente è conosciuto soprattutto per le sue politiche economiche eterodosse, meglio note come Abenomics: un misto di politica monetaria espansiva, aumento della spesa pubblica e riforme strutturali che miravano a spingere il Giappone fuori dalla spirale deflazionistica in cui il paese si trova da decenni.
Per un paese in crisi demografica, con prospettive di declino socio-economico pressoché inevitabile, la ricetta proposta da Abe è stata una scossa per risvegliare il paese dalla passività e dal torpore in cui era piombato. Come a dire che se proprio declino deve essere, che almeno non ci si abbandoni a esso. L’ex premier, in sostanza, ha tentato di stabilire una formula con cui un paese avanzato possa governare il proprio declino senza doverlo subire.
A ciò si è unita anche un’attenzione particolare verso la riforma della difesa. Nel 2015 l’allora premier Abe era riuscito a far approvare la revisione della legislazione sulla sicurezza in modo tale da permettere al Giappone di impegnarsi non solo in attività di pura e semplice “auto-difesa”, ma anche di “auto-difesa collettiva”. Il cambiamento è stato epocale e ha provocato grandi manifestazioni pubbliche come non se ne vedevano da anni. Al centro della questione stava il fatto che, sebbene Washington e Tokyo fossero (e siano tuttora) alleati, legalmente il Giappone non sarebbe potuto intervenire in un ipotetico conflitto a fianco del proprio alleato statunitense a meno di non essere attaccato direttamente. La riforma approvata da Abe ha cambiato tutto ciò.