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Non credo che Paola Turani si aspettasse di attirare fulmini e saette dalla comunità dei social raccontando della difficoltà di avere un bambino vivace di nove mesi. La modella e influencer bergamasca ha fatto una cosa che ogni madre ha fatto, dopo aver giurato e stragiurato che ‘mai nella vita’. Si è lamentata. Si è lamentata della vivacità del figlio Enea, del fatto che non stia fermo un secondo, che cerca di ingerire tutto quello che trova, che sceglie i percorsi più pericolosi per gattonare. Ha ammesso di essere stanca (pienah) e di essersi goduta a malapena le vacanze in montagna.
Apriti cielo. ‘Ma cosa pensavi, di avere un Tamagotchi?’ ‘ma cosa hai da fare oltre a farti i selfie?’ ‘pensa a chi deve timbrare il cartellino’. La maggior parte dei commenti vanno in questa direzione. Vietato lamentarsi. E se sei un’influencer, vietato ancora di più.
La narrazione della maternità sui social per lungo tempo è stata fastidiosamente orientata alla perfezione. Mamme in bikini a due secondi dal parto, neonati paffuti e sorridenti che si tengono i piedini in aereo, bambini di cinque anni che siedono composti al ristorante leggendo le Upaniṣad, genitori mai stanchi, mai nervosi, innamorati perdutamente e costantemente della loro prole.
Poi arriva un’influencer che ha una giornata storta e decide di uscire dalla narrazione ‘solare’. E paga anche il fatto di aver raccontato il percorso difficile che l’ha portata verso la maternità. Ma come, sembra chiedersi il pubblico, lo hai voluto tanto questo figlio e ora ti lamenti?
E se invece Paola Turani in questo momento di disperazione avesse fatto un favore a tutte le neomamme stanche che seguono la sua pagina instagram e si sentono in colpa perché non sorridono abbastanza, perché non sono abbastanza felici, perché spesso sono stufe e (orrore!) a volte vorrebbero scappare in una stanza d’albergo con il servizio in camera e chiudersi a dormire per una settimana? Possiamo lamentarci ogni tanto, qualunque sia la nostra situazione lavorativa e/o familiare, senza paura di essere additate come egoiste e nullafacenti e senza sentirci raccontare di quella lontana parente con dieci figli che si arrampicava sulle montagne di corsa con tutti e dieci i figli in spalla, trovando solo il tempo per azzannare qualche radice durante il percorso? Chiedo per un’amica.