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Tuttavia nessuna si è resa disponibile ad accogliere il deposito, che sarà realizzato da Sogin. Anzi, in occasione del seminario nazionale (una consultazione pubblica con enti locali e associazioni dei territori che si è svolto tra settembre e dicembre 2021), tutti i rappresentanti delle aree individuate si sono espressi contro, contestando alcune delle informazioni prodotte da Sogin e richiamando una serie di condizioni per essere esclusi dalla scelta, dall’agricoltura di pregio a monumenti storici, dalla presenza di altre infrastrutture critiche a falde acquifere o parchi. Sogin ha fatto sapere di aver ricevuto oltre 600 tra domande, osservazioni e proposte, per un totale di 25mila pagine di documenti. Da queste Sogin ha ricavato una prima bozza della Cnai, consegnata il 15 marzo al ministero della Transizione ecologica (Mite), che a sua volta l’ha spedita all’Isin, il quale ha già chiesto integrazioni a Sogin, confluite nelle 1.700 pagine che sta analizzando.
Il deposito nazionale
Nulla fa sperare che a questo giro la strada sia in discesa. Il numero di aree sarà ridotto e da questa rosa, in un modo o nell’altro, deve uscire l’indirizzo del futuro deposito, dove saranno stoccati 78mila metri cubi di rifiuti radioattivi a bassa e molto bassa intensità e temporaneamente i 17mila a media e alta intensità, in attesa che a livello europeo si costruisca un impianto centralizzato. Il deposito occuperà 150 ettari e sarà composto da novanta costruzioni in calcestruzzo armato, dette le celle, che a loro volta conterranno i moduli in cemento, dove saranno collocati i contenitori di metallo con i rifiuti. Un sistema a matrioska per sigillarli per i successivi 300 anni. Sorgerà anche un parco tecnologico per la ricerca e lo studio sui rifiuti nucleari. Si prevede un cantiere da 900 milioni di euro, quattromila operai e quattro anni di durata.
La politica spera in un’auto-candidatura, che risolverebbe in un batter d’occhio il problema. Altrimenti si dovrà passare da lunghe e complesse negoziazioni fino, extrema ratio, alla scelta d’imperio da Roma. Una prospettiva che fa storcere il naso a tutti i partiti, che non vogliono inimicarsi un territorio. Nonostante esempi nel resto d’Europa, come quello di Aube in Francia o Cabril in Spagna, dimostrino che questi impianti possono convivere con agricoltura tradizionale e turismo (quello francese è nella regione dello Champagne) o con oasi naturali (nei cui pressi sorge quello iberico). E se lo scenario fosse di elezioni anticipate, il rischio è che si allunghino i tempi di una scelta che, comunque, non avverrebbe prima di dicembre 2023 (stando alle proiezioni dell’attuale ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani).
Sogin commissariata
Poi c’è l’incognita commissariamento Sogin. Il governo ha deciso di azzerare i vertici a giugno, nel decreto Sostegno, dandosi tempo fino al 22 luglio per nominare la figura apicale e i due vice che prenderanno in consegna l’azienda. Nelle scorse settimane Rossella Muroni, deputata del gruppo Facciamo Eco in commissione Ambiente, aveva commentato che Sogin, “istituita nel 1999 con il compito di concludere la sua missione entro il 2019 per un costo di 3,7 miliardi”, al momento “ha concluso solo il 30% delle opere di decommissioning, ma ha già pesato per 4 miliardi sulle bollette degli italiani, la conclusione dei lavori è slittata al 2036 e i costi solo lievitati a 7,9 miliardi” e osservava che è “il momento di pretendere chiarezza su reale stato di avanzamento dei cantieri, costi, tempistiche, grado di pericolosità dei diversi siti e messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi perché in gioco ci sono non solo i soldi, ma anche la salute degli italiani”.
Una scelta, quella del commissariamento, che non trova d’accordo tutti i parlamentari. Per Giovanni Vianello, in commissione Ecomafie in quota Alternativa, “l’organo commissariale agirà in deroga alla legge italiana: stiamo parlando di temi delicatissimi ossia della gestione dei rifiuti radioattivi, della costruzione del deposito nazionale dei rifiuti radioattivi e del decommissionig delle centrali nucleari. Riteniamo inopportune tali deroghe”. A metà giugno Sogin ha comunicato di aver terminato le attività di smantellamento previste dalla Fase 1 del progetto dell’ex impianto di Bosco Marengo, dove si fabbricava combustibile nucleare, raggiungendo lo stato di brownfield (aree dismesse da bonificare). Lo stabilimento è stato decontaminato, togliendo così i vincoli radiologici, e sono stati smantellati i sistemi ausiliari. I circa 500 metri cubi di scorie di Bosco Marengo sono ora in un deposito temporaneo. In attesa che l’Italia decida la loro destinazione finale.