mercoledì, Dicembre 4, 2024

Davvero non c’era altra strada che la crisi di governo?

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Mario Draghi ha fatto Mario Draghi. Nel bene e nel male. Chiunque si aspettasse moine e lusinghe pur di rappezzare la maggioranza che lo aveva messianicamente incoronato all’inizio del 2021, quando eravamo ancora nell’occhio del ciclone pandemico e con il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) da mettere in piedi, ha capito poco dell’uomo e della sua missione. Non le ha mandate a dire ai presunti leader dei partiti, l’ex banchiere centrale, né prima né dopo gli interventi dei senatori nel corso della surreale seduta del 20 luglio. E la scelta di mettere la fiducia sulle due righe della mozione proposta dal senatore di Centristi per l’Europa Pier Ferdinando Casini dà l’idea della sua forma mentis. Dal suo punto di vista non c’era spazio per nulla di diverso da una maggioranza di unità nazionale dove tutti si sacrificassero per procedere velocemente e con efficienza ad affrontare le decine di cantieri aperti, dalle rate degli aiuti europei alla prossima legge di bilancio fino ai sostegni all’economia e alle riforme rimaste appese, dalla concorrenza al fisco. Un’impostazione logica e coerente, per molti, una rigidità costata cara al paese, per altri.

Il presidente del Consiglio è andato al Quirinale per rassegnare le dimissioni. Ha perso la maggioranza, dopo la decisione del centrodestra e del Movimento 5 stelle di non partecipare al voto. Prende corpo l’ipotesi dello scioglimento delle Camere e del voto in autunno

Il presidente del Consiglio, che ha formalizzato le dimissioni al Capo dello Stato nella mattinata del 21 luglio, era infatti convinto che tradendosi rispetto a quell’approccio – pochi capricci e unità nazionale – non ci sarebbe stato modo di governare fino alla fine della legislatura. Per questo il pasticcio del Movimento 5 Stelle, messo all’angolo da una progressiva estinzione elettorale e dalla scissione parlamentare del ministro degli Esteri Luigi Di Maio, gli è risultato inaccettabile nei modi più che nei contenuti, per altro al solito fumosi: l’indecisionismo di un Giuseppe Conte nel caos totale e obbligato a fare qualcosa pur di non sparire era il paradigma di ciò che non sarebbe servito al lavoro del governo e del Parlamento nei prossimi otto mesi. Eppure ciò che sarebbe accaduto maneggiando in modo un po’ troppo asciutto quella grottesca e suicida mini-crisi innescata giorni fa sul decreto Aiuti, o liquidandola in modo sprezzante, era scritto: le destre avrebbero strappato, chiedendo un Draghi Bis senza pentastellati e con nuovi ministri. Come dar loro torto, dopo lo pseudo-Aventino grillino.

Insomma, Draghi è rimasto nel suo quadrato di manovra, non ha voluto spingersi un centimetro oltre. Ha fatto bene in linea teorica, una linea ribadita anche a Palazzo Madama quando ha spiegato che “un presidente del Consiglio che non si è mai presentato davanti agli elettori debba avere in Parlamento il sostegno più ampio possibile”. Ma in linea pratica c’è da domandarsi se al paese non sarebbero stati comunque più utili altri otto mesi di un governo pur rissoso e a mezzo servizio ma nel pieno dei suoi poteri piuttosto che nessun governo, il rischio di un drammatico esercizio provvisorio e una pericolosa assenza dai mille fronti che abbiamo davanti, dalla guerra in Ucraina alla crisi energetica. Bisogna insomma fare lo sforzo intellettuale di spingersi oltre lo scontato disprezzo per la classe politica attuale, e nello specifico per l’astenia morale e politica del Movimento 5 Stelle, e capire che mettersi al servizio del paese significava forse e anche mettere in conto che prima o poi una fase come questa sarebbe arrivata. E ragionare, nel caso, su un modo diverso di neutralizzarla.

Il presidente del Consiglio Mario Draghi

Il presidente del Consiglio ha perso la maggioranza, dopo la decisione del centrodestra e del Movimento 5 stelle di non partecipare al voto. Draghi si avvia a rassegnare le dimissioni e prende corpo l’ipotesi dello scioglimento delle Camere e del voto in autunno

Contenendo in modo più intelligente la ridicola pantomima innescata Movimento 5 stelle non avremmo dovuto leggere un copione che conosciamo a memoria, cioè la fuga in avanti di una destra al solito inaffidabile, opportunista e infedele. Certo si sarebbe aperto un autunno forse ai limiti della paralisi. 

O forse no: non sappiamo cosa abbiamo davvero di fronte, se le scorte di gas stoccate nei depositi basteranno, cosa ha in mente il presidente russo Vladimir Putin, come procederà l’economia e in particolare l’inflazione fra mille strozzature di materie prime e catene di approvvigionamento bloccate, come evolverà la pandemia. Può essere che la realtà, nella sua durezza e complessità, avrebbe in qualche modo aiutato il presidente del Consiglio a tenere duro, garantendo al contempo al paese un esecutivo nel pieno dei poteri. Ammesso che, se si andasse al voto, dalle urne di ottobre uscissero equilibri sufficienti a formare una maggioranza, non avremmo un governo funzionante prima di dicembre. Così i cittadini rimangono soli di fronte alla tempesta perfetta e nonostante la viltà dei senatori (che non hanno neanche avuto il coraggio di votare contro la personalità più autorevole che abbia seduto negli ultimi anni a palazzo Chigi) l’unico che poteva provare ad aprire un ombrello per proteggerli, per quanto sgangherato, era proprio e ancora Mario Draghi.

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