domenica, Dicembre 3, 2023

Perché si torna a parlare di spread

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La crisi di governo, conclusasi con la caduta della maggioranza parlamentare sotto i colpi del centrodestra e del Movimento 5 Stelle e le conseguenti dimissioni del presidente del Consiglio Mario Draghi, si è già fatta sentire sugli asset finanziari italiani. Lo spread tra buoni del tesoro pluriennali italiani (Btp) e il corrispettivi tedesco, i Bund, ovvero l’ampiezza della differenza di rendimento tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi, è salito oltre i 240 punti. Secondo il grafico messo a disposizione dal Sole 24 Ore, la giornata di mercoledì 20 luglio, ovvero quella che si è aperta con il discorso in cui Draghi ha posto al Senato le condizioni per continuare la sua azione di governo e si è conclusa con la mancata fiducia, è iniziata con lo spread a 206,4. In seguito al discorso iniziale di Draghi, la differenza è scesa sotto il 204 per poi iniziare a salire, fino ad arrivare oltre 240. Al momento, si assesta intorno a 238.

La Banca centrale europea ha annunciato che alzerà i tassi di interesse nei prossimi mesi. Dall’inflazione allo spread, le parole chiave per comprendere gli effetti

Perché lo spread ha seguito questo trend?

I titoli di Stato sono il mezzo con cui una nazione ottiene dei soldi in prestito: li vende a fondi, banche, risparmiatori grandi e piccoli a una certa cifra, promettendo di rimborsarli con interessi entro uno certa data. Il rendimento che uno Stato offre è più alto quanto più alto è il rischio per l’investitore. Se uno Stato è in una situazione economica precaria e ha bisogni di farsi prestare dei soldi, dovrà offrire un rendimento molto alto agli investitori per convincerli a dare i soldi. I titoli di stato tedeschi sono presi come riferimento perché tradizionalmente considerati i più sicuri e quindi quelli a rendimento minore.

Un aumento dello spread è quindi interpretabile come un segnale di preoccupazione degli investitori riguardo alla situazione economica dell’Italia. Quella di Mario Draghi è infatti considerata una figura rassicurante dagli investitori, un garante di un certo livello di stabilità economica. Per questo motivo, dopo il primo discorso di Draghi in Senato, il quale aveva aperto alla continuazione dell’attività di governo, gli investitori si sono sentiti rassicurati e lo spread è sceso. Non appena è iniziata a trapelare l’intenzione del centrodestra di non sostenere un nuovo governo Draghi, lo spread è iniziato a salire, raggiungendo l’apice di 243 nel momento in cui il presidente del Consiglio non ha ottenuto la fiducia in Senato.

Le conseguenze di un aumento definitivo dello spread sono diverse. Intanto, salgono i titoli di Stato a aumenta il costo per finanziare il debito. Dopodiché, dovendo pagare un rendimento maggiore sui propri titoli, lo Stato deve cercare le coperture e questo può comportare una riduzione delle spese o un aumento delle tasse. Le banche, intanto, si trovano anche loro a pagare interessi più elevati e rischiano di andare incontro a problemi di liquidità. Tutto questo ha ripercussioni negative sui bilanci di imprese e famiglie, dato che rischia di mettere a rischio l’erogazione di nuovi mutui e di costringere le banche a prestare soldi solo a tassi molto elevati. 

Siamo peggio della Grecia?

La crisi di governo ha inoltre appiattito il differenziale di rendimento tra i titoli di Stato italiani e quelli della Grecia, dato che i bond di Atene con scadenza a due anni vengono oramai considerati meno rischiosi. Ansa riporta che i bond decennali sono separati da solamente 7 punti di base, dato che il Btp decennale rende il 3,374% mentre l’equivalente greco rende il 3,442%. Si tratta del minimo da inizio 2022 e di una cifra che fa capire bene il livello di preoccupazione per il futuro dell’Italia da parte degli investitori. Alla crisi di governo si aggiunge inoltre l’aumento dei tassi di interesse europei annunciato dalla Banca centrale europea (Bce), che promette di aumentare ulteriormente il rendimento dei titoli di Stato italiani, provocando un’ulteriore impennata dello spread. 

La manovra della Bce

La Bce, che non metteva mano ai tassi di interesse dal 2011, li ha alzati di mezzo punto percentuale. Il tasso principale sale a 0,50%, il tasso sui depositi a zero e il tasso sui prestiti marginali a 0,75%. Viene avviato il cosiddetto scudo anti-spread, per assicurare che “l’orientamento di politica monetaria sia trasmesso in modo ordinato in tutti i paesi dell’area dell’euro” ed “è un presupposto affinché la Bce possa adempiere il mandato di mantenere la stabilità dei prezzi“. Lo scudo avrà una potenza di fuoco negli acquisti di bond che “dipenderà dalla gravità dei rischi per la trasmissione della politica monetaria” e gli acquisti “non sono soggetti a restrizioni ex ante“.

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