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Tezuka ha sempre prediletto come target un pubblico infantile, senza tuttavia precludersi tematiche forse più adatte allo spettatore adulto. Il bimbo robot sfruttato dal governo come arma invincibile (Astro Boy), il ragazzino sopravvissuto a un incidente che l’ha sfigurato e che da adulto opera come chirurgo privato (Black Jack) hanno in comune un’infanzia durissima, ma niente in confronto a quello che ha passato Hyakkimaru. Nel XVI secolo, nel periodo Sengoku, è nato in una famiglia nobile. Il padre, daimyo assetato di potere, sacrifica il pargolo che deve ancora nasconde ai demoni, in cambio di fortuna. Il corpo dell’infante appena nato viene divorato, eppure il neonato sopravvive. Abbandonato dalla disperata madre in una cesta, viene rinvenuto da un medico che ricostruisce arti e organi mancanti ricorrendo a resti di altri neonati, e con quel corpo, da ragazzo si imbarcherà in una missione per farsi restituire quanto rubato dai demoni.
Hyakkimaru, cacciatore di demoni
Dororo
Hyakkimaru è il nome ricevuto dal bimbo dal suo benefattore, e si traduce come “il ragazzo dei cento demoni”. Nel fumetto è sopravvissuto alla sottrazione di 48 parti del corpo, mentre nell’anime questi sono dodici. Le differenze tra il manga e le due versioni del cartone sono sostanziali, a partire da fatto che per la maggior parte della serie del 2019, il ragazzo è muto. Privato dei sensi – non vede, non sente, non parla e non percepisce il dolore – è un giovanotto esile e androgino, una bambola silenziosa e letale che si scaglia contro i demoni con furore, infallibile grazie alle lame che porta al posto delle braccia. Man mano che recupera gli organi e i sensi, acquisisce anche l’umanità: ama i fiori, le canzoni e pronunciare i nomi delle persone che gli piacciono. Nell’adattamento per la televisione del 1969 è, invece, più mascolino e chiacchierone, più passionale e irruento.
Dororo, il bimbo saggio