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Era il 26 giugno del 2012, l’Unione europea era attraversata dalla crisi del debito sovrano, che faceva temere il default di alcuni paesi, Italia compresa. Mario Draghi, all’epoca presidente della Banca centrale europea, intervenendo a Londra di fronte a una platea di investitori e dirigenti d’azienda rassicurò rispetto all’impegno dell’istituto che guidava per salvare la moneta unica. E di farlo “Whatever it takes”, appunto, ovvero costi quel che costi.
A quelle parole seguirono l’approvazione dell’Outright Monetary Transactions, un programma di acquisto di titoli di Stato a breve termine, e l’introduzione del quantitative easing che, tra il 2015 ed il 2016, portò all’acquisto di titoli di Stato al ritmo di 60 miliardi di euro al mese. A dieci anni da quell’impegno, Wired ha scelto di analizzare alcuni indicatori per raccontare di come quelle tre parole abbiano salvato la moneta unica e l’economia di Portogallo, Italia, Grecia e Spagna, i cosiddetti paesi Pigs.
Lo spread
Termine entrato a far parte dell’immaginario collettivo italiano, buono per i titoli di giornale in occasione di ogni crisi politica, indica il differenziale tra gli interessi garantiti dai titoli di Stato in rapporto a quelli tedeschi. I quali vengono presi a riferimento per via della stabilità finanziaria di Berlino. Ecco, secondo i dati messi a disposizione della Banca centrale europea, come è andata negli ultimi anni.
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Sul grafico è rappresentato lo spread nei quattro paesi Pigs. Come si può osservare, dopo i provvedimenti assunti dalla Bce guidata da Mario Draghi la discesa è proseguita, fino a portare la situazione su livelli lontani dai picchi toccati tra il 2011 ed il 2012. Interessante notare come in Italia (linea verde) lo spread sia tornato a salire nella primavera del 2018, dopo le elezioni che portarono al governo gialloverde guidato da Giuseppe Conte.
Il debito pubblico
Premesso che, al di là di considerazioni di natura politica, il debito pubblico non è di per sé un dato negativo e che contano piuttosto i motivi per cui lo si contrae e la capacità di ripagarlo, valutarne l’andamento è un modo per misurare la capacità dei singoli paesi di continuare a contrarlo. Ovvero di essere considerati affidabili dai mercati, che diversamente investirebbero in titoli di Stati che temono potrebbero fallire. Ecco, su dati Eurostat, come è andata.
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Come si vede, tutti i paesi considerati a rischio default nel 2012 hanno potuto aumentare il proprio debito pubblico. Unica eccezione la Grecia, che ha impiegato alcuni anni prima di poter tornare a politiche espansive.
Il valore dell’euro e i riflessi su import ed export
Ultimo elemento preso in considerazione, che permette di valutare l’impatto diretto sulle famiglie delle politiche economiche, quello relativo al potere di acquisto nei quattro paesi Pigs. Un indicatore misurato in Ppp, ovvero purchasing power parities, una metrica macroeconomica utilizzata per confrontare il potere d’acquisto in paesi diversi. Ecco come è andata.
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Anche in questo caso, si può notare una tendenza all’aumento del potere d’acquisto nei quattro paesi che giusto un decennio fa erano a rischio default. In tutti il 2020, l’anno in cui è scoppiata la pandemia da Covid-19, ha registrato una flessione. Con la sola eccezione della Grecia, la ripresa del 2021 non ha ancora riportato il potere d’acquisto ai livelli pre-pandemici.