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Ad aprile, pochi giorni dopo aver annunciato il suo nuovo album Mr. Morale & the Big Steppers, Kendrick Lamar ha assistito a una partita dei Los Angeles Dodgers. Si è seduto sulla tribuna di destra tra i fedeli dei Dodgers, circondato da un mare di cappellini da baseball blu. La sua scelta di copricapo, al contrario, spiccava: un bucket hat bianco e nero lavorato all’uncinetto, alto come un cilindro e tirato basso sugli occhi come un berretto.
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L’unica cosa più strana di vedere Lamar abbracciare un’estetica da bardcore meme era il suo continuare a farlo. Secondo l’artista di New York Emily Dawn Long, che ha disegnato il cappello in collaborazione con la stilista di maglieria Maria Dora, Lamar ne ha acquistati circa 20 finora. E sembra che indossi il cappello, che Dawn Long ha soprannominato “Hat Named Wanda” (un cappello di nome Wanda ndt), ogni volta che non indossa la sua corona di spine in titanio tempestata di diamanti realizzata da Tiffany. Come quando stava registrando Mr. Morale, e quando è salito sul palco del Coachella questa primavera, e poi a un listening party di Spotify in Ghana.
A differenza di Kanye West, che da solo è in grado di ispirare i ventenni a uscire di casa vestiti come se stessero per attraversare una palude, Kendrick non è tra i principali oracoli di stile della cultura pop. Si veste in modo comodo e disinvolto, un po’ come uno studente di un’accademia di belle arti con un account su Grailed. Si ha l’impressione che non accetti facilmente le ossessioni della moda. Il suo gusto per il modesto cappello non segna il lancio di una tendenza, ma piuttosto il culmine di una tendenza che si è sviluppata fin dall’inizio della pandemia. E ha contribuito a trasformare il Wanda nello status symbol più low-key della moda.
Il Wanda ha avuto una vita prima di Kendrick. Tutto è iniziato nel febbraio 2020, quando Dawn Long ha messo in vendita alcune decine di Wanda sul suo sito web. Non c’era una grande strategia dietro l’impresa: dopo aver ricevuto decine di complimenti per un cappello vintage che possedeva, Dawn Long ha pensato di provare a produrli lei stessa. “Non si tratta di fare profitti”, dice. “Mi piace solo creare cose che mi piacciono e che penso manchino alla gente”. Si è messa in contatto con Dora, il cui lavoro quotidiano consiste nel realizzare maglieria per film come The Hunger Games, per trovare un produttore che potesse replicare la struttura e la forma della sua amata versione vintage, e alla fine hanno collaborato con un produttore in Perù che lavora con cooperative di donne indigene specializzate in prodotti all’uncinetto.
Il momento coincide con l’inizio del blocco globale dovuto al Covid, proprio all’inizio di un ritorno alla sensibilità artigianale e casalinga, quando tutti e le mamme di tutti hanno preso in mano un paio di ferri da uncinetto o almeno hanno iniziato a vestirsi come membri di un circolo di lavoro a maglia. La prima serie di poche decine di cappelli è andata esaurita quasi subito. “È esploso tutto”, dice Dora. “Faceva parte di un trend più grande di quanto ci aspettassimo”.