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Per proteggersi dalle varianti di Covid-19, potrebbe essere la miglior soluzione uno speciale cerotto, piuttosto che il tradizionale vaccino iniettabile. È quanto emerge da uno studio dell’università del Queensland, in Australia: i ricercatori hanno testato – per il momento solo sui topi di laboratorio – un vaccino contro il coronavirus a subunità proteica, somministrato attraverso un particolare cerotto che distribuisce la sostanza sottopelle, dove è presente un gran numero di cellule immunitarie. Secondo i risultati, pubblicati sulla rivista Vaccine, il cerotto sarebbe undici volte più efficace nel neutralizzare le varianti di Sars-cov-2 rispetto al classico vaccino somministrato tramite iniezione. Per gli autori dello studio questa tecnologia potrebbe rappresentare una buona strategia per combattere la pandemia, specie quando le varianti mutano a ritmo rapido.
Come funziona (e quali sono i vantaggi)
A distanza di oltre due anni, la pandemia di Covid-19 continua a rappresentare un’enorme sfida per la salute a livello globale, soprattutto a causa delle varianti emergenti di Sars-cov-2 (come omicron e i suoi sotto-lignaggi) che contengono numerose mutazioni nella proteina spike che rischiano di intaccare l’efficacia dei vaccini utilizzati al momento, rendendo necessarie ulteriori dosi di richiamo per rimanere protetti nei confronti della malattia. Pertanto si è continuamente alla ricerca di soluzioni alternative per fornire una protezione efficace verso Sars-cov-2: nel 2021 il team di ricercatori australiano aveva già pubblicato i dati che dimostravano l’efficacia preclinica di un vaccino contro Sars-cov-2 diverso da tutti gli altri: esso, infatti, era somministrato tramite HexaPro, un particolare tipo di cerotto progettato dall’azienda biotech Vaxxas, di Brisbane.
Il cerotto per microarray ad alta densità (questo il nome tecnico del dispositivo sviluppato) consiste in un sottile foglio di polimero biocompatibile delle dimensioni di un centimetro quadrato, ricoperto da migliaia (fino a 3000) di piccolissime estroflessioni di 300 micrometri di lunghezza rivestite con una formulazione essiccata di vaccino a subunità proteica contro la proteina spike di Sars-cov-2. Quando il cerotto viene applicato sulla pelle, le estroflessioni distribuiscono il vaccino nell’epidermide e nel derma superiore, gli strati della pelle più esterni ricchi di cellule immunitarie. Rispetto alla vaccinazione con iniezione intramuscolare, secondo i ricercatori i potenziali benefici di questi cerotti includono la riduzione del dolore e della paura degli aghi, non aver bisogno di mantenere la catena del freddo o di risospendere in soluzione il vaccino, l’uso di dosi ridotte di vaccino con minor quantità di sostanze adiuvanti (con un significativo risparmio sui costi di produzione) e possibilità di vaccinarsi in maniera autonoma.
Una strategia per il futuro
In sostanza, lo studio precedente dimostrava che il siero di topi vaccinati con il cerotto era in grado di neutralizzare efficacemente Sars-cov-2 e le varianti alfa e beta, che al momento della sperimentazione erano quelle più diffuse; poi, con l’emergere prima di delta e poi di omicron è diventato necessario testare l’efficacia del cerotto anche per queste altre varianti. I ricercatori, quindi, dopo aver applicato il cerotto per microarray ad alta densità, hanno studiato come si comportava il siero dei topi immunizzati nei confronti delle nuove varianti del coronavirus, scoprendo che la vaccinazione tramite cerotto era circa undici volte più efficace nel combattere la variante omicron rispetto allo stesso vaccino somministrato con iniezione. Non solo: questi risultati sono stati confermati non solo per il vaccino a subunità proteica contro Sars-cov-2, ma anche per altri tipi di vaccini.
Secondo McMiller, questa tecnologia ha il potenziale per offrire una strategia più efficace e innovativa per fronteggiare la pandemia di Covid-19, specie in un momento in cui le nuove varianti mutano a un ritmo rapido, in quanto non solo i cerotti sembrerebbero più efficaci contro le varianti emergenti, ma anche molto più facili da somministrare rispetto ai vaccini iniettabili. C’è da sottolineare che al momento le ricerche sono ancora in fase preclinica, per cui i vaccini tradizionali rimangono uno degli strumenti principali per combattere Sars-Cov-2. “I vaccini esistenti sono ancora un modo efficace per affrontare le malattie gravi causate da questo virus: non è il momento di abbassare la guardia“, chiosa il ricercatore.