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L’ultimo arrivato si chiama Voyah. Il marchio di auto elettriche, controllato dal produttore cinese Dongfeng, ha aperto da poco uno showroom a Oslo. Dalla capitale della Norvegia sono già passate Nio e Xpeng, altre due case automobilistiche specializzate in veicoli elettrici. Il paese nordico, all’avanguardia nell’addio ai motori a combustione (ad aprile le immatricolazioni di mezzi elettrici e ibridi hanno raggiunto l’84%) è uno dei primi mercati a cui guardano i nuovi produttori di auto cinesi per approdare in Europa. Il Dragone, d’altronde, ha messo nel mirino il Vecchio continente e ha i numeri per affermarsi.“Le aziende cinesi stanno già vendendo in Europa. Quindi spetta a tutte le aziende sul mercato europeo raccogliere la sfida di fornire veicoli elettrici adatti alle esigenze dei consumatori”, osserva Philippe Vangeel, segretario generale di Avere, l’associazione europea per la mobilità elettrica, della quale Nio e Xpeng fanno già parte.
Europa nel mirino
A fine maggio il Mercator institute for China studies (Merics), un centro studi tedesco sul Dragone, ha calcolato che l’Europa è diventato il primo mercato in cui le aziende cinesi esportano auto elettriche. Nel 2021 il 40% dei 555.041 veicoli venduti all’estero è finito sulle strade europee. Non parliamo solo di auto cinesi tout court. Ma anche di modelli progettati da case automobilistiche europee, che li producono poi al di là della Grande muraglia. È il caso della Dacia Spring di Renault o della Mini e della Smart elettriche di Daimler. La produzione mondiale di queste quattro ruote è collocata in Cina. Dietro Volvo c’è Geely, multinazionale di Hangzhou che l’ha acquistata nel 2010. E che sotto il suo ombrello ha una vasta gamma di marchi di auto elettriche, come Polestar o Lynk, nato in Svezia, destinato all’inizio al solo mercato cinese e ora avviato anche alle vendite in Europa.
Secondo Schimdt Automotive, un centro di ricerca specializzato, nel 2021 il 15% dell’1,2 milioni di auto elettriche vendute in Europa occidentale era made in China. A cominciare da Tesla, che ancora non aveva inaugurato la sua fabbrica alle porte di Berlino. Secondo Merics il trend è destinato a crescere, sulla scorta del fatto che “sempre più imprese annunceranno piani di esportazione e Pechino ridurrà i sussidi all’acquisto, una mossa che rallenterà la domanda domestica”.
Al contrario, dicono gli esperti, l’Europa interessa alla Cina “per le sue basse barriere commerciali, una rete di ricarica ben sviluppata e alti sussidi per l’acquisto di auto elettriche, validi anche per le importazioni”. Al tempo stesso, osserva Vangeel, “il governo cinese supporta molto i produttori di auto elettriche” (Dongfeng, per esempio, è un’azienda statale), che “stanno collaborando con marchi europei per avere nomi europei”, per capitalizzare la presenza di mercato di questi brand, e “stanno investendo in modelli di fascia bassa e più economici”, per abbattere gli steccati economici che ancora rendono le e-car un oggetto proibitivo per molti portafogli. Byd, che ha sorpassato Tesla per vendite nel primo semestre del 2022, ha lanciato un modello che costa 10mila euro.
Strada spianata
Il risultato, sentenzia Merics, è che “l’Unione europea sta diventando un consumatore netto di veicoli made in China”. Vangeel si aspetta un’accelerata nel 2023-24: “Mi aspetto annunci di nuovi modelli su base quotidiana”. D’altronde, l’Unione europea si è data l’impegno di bloccare le immatricolazioni di nuove auto con motori termici dal 2035, una spinta ulteriore a migrare sull’elettrico. Dati dell’Associazione del produttori d’auto cinese evidenzia che le esportazioni di veicoli elettrici dalla Cina sono quadruplicate tra il 2020 e il 2021 e le e-car hanno raggiunto una quota del 20,7% sul totale delle esportazioni nella prima metà dell’anno.