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Il governo del Kosovo ha deciso di rimandare di 30 giorni l’introduzione di un obbligo che imporrebbe l’utilizzo di targhe per le auto kosovare al posto di quelle serbe, ancora molto diffuse tra la minoranza serba del paese. La misura sarebbe dovuta entrare in vigore alla mezzanotte di lunedì 1 agosto, ma i disordini di domenica 31 luglio hanno indotto il primo ministro Albin Kurti a posticipare il piano al primo settembre, ribadendo comunque che l’obbligo verrà applicato sull’intera popolazione. Un’altra misura che sarebbe dovuta entrare in vigore il primo agosto, ma che anche in questo caso è stata rimandata a settembre, costringerebbe i cittadini serbi che vogliono entrare in Kosovo a munirsi di un documento aggiuntivo, come già accade per cittadini kosovari che arrivano in Serbia.
Domenica, centinaia di persone appartenenti alla minoranza serba hanno parcheggiato camion e macchine davanti ai due principali passaggi di confine tra Kosovo e Serbia in segno di protesta, costringendo la polizia locale a chiuderli. La situazione ha rischiato di degenerare in tarda serata quando la polizia kosovara ha fatto sapere che sono stati sparati alcuni colpi di arma da fuoco verso le forze dell’ordine. Nel corso di una conferenza stampa, il presidente serbo Aleksander Vucic – noto per le sue posizioni profondamente nazionaliste – si è detto favorevole alla pace, ma ha avvertito che se i serbi saranno minacciati non si arrenderanno e “la Serbia uscirà vittoriosa”, inducendo diversi analisti a pensare che un conflitto armato fosse imminente.
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I precedenti
Il rapporto tra Kosovo e Serbia è sempre stato piuttosto complicato. Dopo la Seconda guerra mondiale, il Kosovo – dove era già presente una forte componente di etnia albanese – diventò una provincia autonoma della Serbia all’interno della Repubblica Federale Socialista Jugoslava. Quando alla fine degli anni Ottanta in Serbia prese il potere Slobodan Milosevic, che sarebbe poi stato tra i principali artefici delle guerre jugoslave degli anni Novanta, il Kosovo venne posto sotto il governo diretto di Belgrado. Inizialmente il paese reagì con una protesta pacifica, mettendo in piedi un governo parallelo finanziato dalla diaspora albanese, ma con scarso successo. In questo quadro nel 1997 emerse sulla scena l’esercito di liberazione kosovaro (Kla), la cui missione principale era l’indipendenza del Kosovo dalla Serbia, anche tramite mezzi violenti. Tra il 1998 e il 1999, Milosevic ordinò una campagna militare contro il Kla, che sfociò in un conflitto brutale che coinvolse migliaia di civili e si concluse con l’intervento armato della Nato, che bombardò la Serbia per 78 giorni nel 1999 e costrinse Milosevic ad arrendersi.
Il Kosovo ha dichiarato la propria indipendenza dalla Serbia nel 2008, ed è stato riconosciuto da oltre cento paesi, inclusi ventidue dei ventisette stati membri dell’Unione europea, tra cui l’Italia. L’indipendenza non è stata tuttavia riconosciuta dalla Serbia e dai suoi alleati Russia e Cina, che hanno impedito, tra l’altro, al Kosovo di entrare nelle Nazioni Unite. Ad oggi, la minoranza serba in Kosovo è costituita da circa 100mila persone su una popolazione complessiva di 1,8 milioni; il governo di Belgrado attribuisce tuttavia alla regione un’importanza notevole e continua ad avere un’influenza molto forte sulle persone di origine serba presenti nel paese.
Le reazioni e gli ultimi sviluppi
Anche se il primo ministro kosovaro ha deciso di rimandare l’entrata in vigore delle regole sulle targhe, la situazione rimane instabile. La Serbia è tra i pochissimi paesi europei ancora considerati vicini alla Russia; la portavoce del ministro degli Esteri russo Maria Zakharova si è schierata a favore della Serbia, accusando il primo ministro kosovaro di essere il responsabile delle tensioni e sostenendo che la decisione sulle targhe e i documenti personali è “un altro passo verso l’espulsione della popolazione serba dal Kosovo e la rimozione delle istituzioni serbe che assicurano la protezione e i diritti dei residenti serbi”.