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Molte delle specifiche tecniche della missione, come il tipo di propulsione da utilizzare (le vele solari sarebbero la scelta più ovvia, ma con le tecnologie attuali avrebbero problemi a superare indenni il passaggio ravvicinato nei pressi del Sole), e le tecnologie di schermatura necessarie per spingersi così lontano nello spazio aperto, devono ancora essere studiate a fondo. Ma i calcoli effettuati negli ultimi anni hanno convinto i ricercatori che gli sforzi sarebbero più che ricompensati dal risultato. Un simile telescopio potrebbe infatti fornire la più accurata mappatura di un esopianeta ottenibile senza recarsi direttamente sul posto: un’immagine del pianeta con una risoluzione spaziale di circa 25 chilometri, abbastanza – assicurano – per mappare le caratteristiche della superficie e individuare tracce di forme di vita.
Cos’altro bolle in pentola?
Come dicevamo, sono appena cinque i programmi di ricerca del Niac che hanno raggiunto la terza fase di sviluppo da quando l’istituto è stato rifondato dalla Nasa nel 2011. Il primo è stato il progetto Mini Bee, nel 2019, che punta a realizzare e testare una nuova tecnologia di estrazione di acqua e altri composti volatili presenti negli asteroidi, da utilizzare per fare rifornimento durante le missioni spaziali del futuro. La tecnica viene definita estrazione ottica, perché prevede di concentrare i raggi di luce solare, e sfruttarli per distruggere le rocce degli asteroidi e ottenere così i materiali custoditi al loro interno.
Un secondo programma di ricerca, entrato nella terza fase di sviluppo nello stesso anno, prevede invece la realizzazione di “Skylight”, una missione dimostrativa per la realizzazione di robot autonomi in grado si esplorare le fosse presenti sulla superficie lunare. Luoghi – spiegano i suoi ideatori – di importanza strategica per la futura colonizzazione del satellite, di cui attualmente si sa ancora pochissimo.
A seguire, nel 2021 a raggiungere la terza fase è stato “Cube-Sat Space Flight Test of a Neutrino Detector”, un progetto che vuole spedire nello spazio un rivelatore di neutrini con cui dare la caccia alla materia oscura. Anche in questo caso, l’obbiettivo è quello di sfruttare la lente gravitazionale del Sole per studiare i neutrini provenienti dal nucleo galattico, deviati dalla massa della stella, e quelli emessi direttamente dal Sole. In questo caso, trattandosi di particelle dotate di massa il punto focale da raggiungere sarebbe molto più vicino rispetto a quello necessario per le radiazioni elettromagnetiche: un punto situato tra le 20 e le 50 unità astronomiche, compreso più o meno tra Urano e Plutone.
Ultimo arrivato, infine, è il progetto che ha raggiunto la terza fase quest’anno: “Diffractive Solar Sailing”, un programma di ricerca che vuole rivoluzionare il concetto di vela solare, passando da quello tradizionale, basato su materiali che riflettono la luce, a un nuovo design che sfrutta metamateriali in grado di utilizzare la diffrazione per imbrigliare il potere propulsivo delle radiazioni elettromagnetiche provenienti dal Sole, e ottenere maggiore potenza e manovrabilità. La tecnologia è ancora in fase di sviluppo, ma il progetto prevede già la realizzazione di una flotta di vele solari a diffrazione che dovrebbero circumnavigare il Sole, per studiarlo da vicino, e fornire dati in tempo reale per le previsioni del meteo spaziale.