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I discorsi di Elon Musk sull’esplorazione dello spazio, la colonizzazione di Marte e l’evoluzione dell’essere umano in una specie multiplanetaria spalancano scenari futuristici che mescolano realtà e fantascienza. Ma nel presente il miliardario-visionario sembrerebbe voler indirizzare SpaceX – l’azienda aerospaziale che ha fondato e che dovrebbe riportare gli astronauti sulla Luna – verso un settore della cosiddetta old economy, l’economia tradizionale: l’estrazione degli idrocarburi.
Boca Chica, l’area di lancio nel Texas meridionale dove si lavora all’astronave Starship e al razzo Super Heavy, potrebbe finire per assomigliare a un complesso gasifero. Musk ha infatti intenzione di trivellare il terreno in cerca di metano, che fungerà da materia prima sia per la centrale elettrica che alimenta gli edifici della base, sia per il carburante dei razzi: dopo essere stato purificato e raffreddato fino allo stato liquido, il metano viene unito all’ossigeno liquido e ad altri composti per ottenere il rocket fuel.
Così, a giugno del 2020 SpaceX ha creato una sussidiaria dedicata al prelievo di risorse dal sottosuolo del Texas – la Lone Star Mineral Development, il cui nome richiama lo “Stato della stella solitaria” –, accaparrandosi pure dei diritti di estrazione nella contea di Cameron, dove si trova Boca Chica. Ma le ambizioni da petroliere di Musk sono state contestate dai gruppi ambientalisti della zona, preoccupati per l’impatto di SpaceX sulla flora e la fauna locali: non soltanto per via delle trivellazioni, ma anche per i lanci e le esplosioni.
Il piano energetico della società per Boca Chica è tuttavia in pausa, o quantomeno lo sono i progetti che riguardano le fonti fossili. Mentre infatti a maggio SpaceX lavorava all’espansione del parco solare che fornisce elettricità al sito, nel contempo abbandonava la costruzione di una struttura per il gas liquefatto (GNL), di un impianto di trattamento del gas naturale e di un dissalatore d’acqua.
Il complesso di Boca Chica – chiamato Starbase – continua comunque a ricevere cisterne di GNL. E non è chiaro se Elon Musk voglia rinunciare al suo obiettivo di integrazione verticale: rendere cioè SpaceX un’azienda autosufficiente, che si procura da sé il metano per i velivoli spaziali. Il fine non è solo il risparmio di soldi (ogni lancio consuma decine di milioni di piedi cubici di gas) e la salvaguardia dagli intoppi logistici, ma anche l’acquisizione di competenze spendibili in contesti diversi. Il know-how e i dati che SpaceX accumulerebbe con le trivellazioni di gas potrebbero tornare utili un domani su Marte e sugli altri corpi celesti, quando bisognerà perforare la superficie in cerca di minerali o di acqua. La Nasa lo chiama “Utilizzo delle risorse in-situ”, ed è uno dei pilastri della missione lunare Artemis e dell’esplorazione dello spazio profondo.
Musk ha preso ispirazione dall’industria oil & gas per un’altra tecnologia utile alla proiezione cosmica della sua azienda: la cattura del carbonio. Lo scorso dicembre scrisse su Twitter che SpaceX stava «iniziando un programma per togliere la CO2 dall’atmosfera e trasformarla in carburante per razzi». Ad aprile la sua fondazione e l’organizzazione non-profit XPrize hanno concesso un finanziamento di 1 milione di dollari a quindici imprese affinché sviluppino delle soluzioni di cattura del carbonio; sei di loro si stanno concentrando sulla cattura diretta dall’aria, il processo a cui Musk faceva riferimento nel tweet.
È una tecnologia ancora sperimentale e molto costosa, ma il capo di SpaceX pensa che sia “importante per Marte”. L’atmosfera del pianeta rosso è infatti composta al 95 per cento da anidride carbonica. Se si riuscisse a rimuoverla e poi a scomporla per ottenere l’ossigeno, i razzi di SpaceX otterrebbero il combustibile necessario per viaggiare verso nuove destinazioni.