lunedì, Gennaio 20, 2025

Tredici vite, come fare tutto giusto ma dimenticarsi del film

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E due. Tredici vite è il secondo film sulla storia della squadra di calcio thailandese rimasta intrappolata nella grotta di Tham Luang per poco meno di 20 giorni nel 2018, mentre fuori i tentativi di salvataggio sì susseguivano nella progressiva perdita delle speranze. Il primo, The Cave, era arrivato quasi subito, nel 2019, questo, su Prime Video dal 5 agosto, ci ha messo 4 anni ma è una produzione più imponente, hollywoodiana, girata da Ron Howard con Joel Edgerton, Viggo Mortensen e Colin Farrell. Su questa stessa storia poi esistono anche un documentario di National Geographic e una serie documentaria per Netflix è in uscita a settembre. Come mai questa storia abbia appassionato così tanto le produzioni lo si capisce vedendone anche solo una, perché dentro di sé ha tantissimi capovolgimenti che creano tensione, coinvolge il conflitto di classe dei nostri anni e mobilita esseri umani da tutto il mondo al servizio di idee folli e creative per salvare i ragazzi. È una storia di occidente e oriente in cui si riesce uniti per fare quel che sembra impossibile con ardore, coraggio e tecniche che rasentano la pazzia. Davvero a concepirla da zero nessuno avrebbe centrato così bene tutti i temi che funzionano. In più ha l’attrattiva di un fatto di cronaca già molto noto in tutto il mondo.

Se però The Cave era un film corretto e minimale, molto focalizzato sui locali e decisamente restio alla spettacolarizzazione, Tredici vite è un film hollywoodiano. Anzi, è un film di Ron Howard, il regista di Apollo 13 (per intenderci), uno che della creazione di dinamiche spettacolari intorno a storie vere ha fatto una missione. Per questo c’è davvero da stupirsi per come il suo film rinunci a tutto ciò che possiamo prevedere, rinunci all’enfasi, alla celebrazione del coraggio e alla creazione di eroi senza macchie per una narrazione molto più asciutta, quasi documentaria. La storia di per sé è esagerata e il film non ne cavalca gli aspetti più clamorosi, anzi sembra voler mantenere la calma. Se non fosse per la qualità della confezione, la bontà della recitazione e quell’eccezionale chiarezza narrativa hollywoodiana non sembrerebbe nemmeno un film americano.

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