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CARTER Joo Won as Carter in CARTER Cr. Son Ik-chung/Netflix © 2022Son Ik-chung/Netflix
Da quella prima scena che inquadra Carter nudo mentre massacra una quarantina di mafiosi anche loro a chiappe all’aria /Jung adora evidentemente gli yakuza movie) la cinepresa non offre mai un attimo di pace alla povera spia e allo spettatore. Si ferma occasionalmente per confrontarsi verbalmente con il Mike Colter di Luke Cage (in un ruolo macchiettistico) o la Camilla Belle di 10.0000 AC (in un ruolo inutile) o per rincuorare la bimba sballottata su treni, aerei, auto, moto, camion mentre Carter mena i nemici a mani nude, li affetta a coltellate, spara loro in faccia, li strangola mentre precipita senza paracadute nel vuoto o li prende a pedate mentre corre su ponti pericolanti, via via massacrando decine e decine di malcapitati senza riportare, praticamente, un graffio. Carter è la materializzazione del desiderio di Jung di fare un action all’americana, dopo che i registi coreani della Hallyu hanno devoto buona parte del XXI secolo a omaggiare action e l’heroic bloodshed hongkonghesi.
Tuttavia, svariate pellicole coreane – da Ashfall a Exit passando per Steel Rain – dimostrano una forte influenza del blockbuster tutto azione hollywoodiano, che per parte del pubblico può essere buona cosa e per un’altra meno. Il risultato è una sorta di Crank orientale, senza un personaggio cafone come Chev Chelios ma con un eroe che incarna l’inossidabile stereotipo della spia nordocoreana impassibile e diligente, una macchina per uccidere tutto casa e famiglia come gli emblematici protagonisti di The Suspect, Confidential Assignment, The Reunion o Commitment dimostrano. Carter è lo strumento di Jung per dispiegare tutte le tecniche di ripresa esistenti atte a immersi totalmente l’utente nell’azione: una serie infinita di (falsi) piani sequenza raccordati nei modi più fantasiosi (compreso il ricorso al solar flare tanto caro al regista JJ Abrams) anche grazie a effetti speciali in Cgi.