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L’invasione russa dell’Ucraina ha alimentato gli interrogativi sul futuro di Taiwan. Il collegamento tra le due vicende non è diretto e le differenze tra Taipei e Kyiv sono numerose. Eppure, così come la pandemia di Covid-19, anche il conflitto potrebbe in parte accelerare le riflessioni delle componenti del delicato triangolo Taiwan-Repubblica Popolare Cinese-Stati Uniti. Pechino continua a sostenere di voler perseguire la “riunificazione” (che a Taipei considererebbero “unificazione” o “annessione”) pacifica, “offrendo” il modello “un paese, due sistemi”, lo stesso prepensionato a Hong Kong. Ma se Xi Jinping decidesse di ricorrere all’utilizzo della forza (cosa peraltro mai esclusa dal Partito comunista e anzi considerata quantomeno retoricamente con maggiore vigore negli ultimi anni), quali potrebbero essere gli scenari di invasione o di attacco? Una panoramica.
Invasione su larga scala
Quando si parla di invasione, solitamente ci si riferisce a una ipotetica azione su larga scala. Nonostante il grande vantaggio di forza da parte dell’Esercito popolare di liberazione rispetto a quello taiwanese, si tratterebbe di un’operazione tutt’altro che semplice. Gli assalti anfibi sono estremamente difficili e se la Repubblica Popolare dovesse invadere Taiwan dovrebbe spostare centinaia di migliaia di truppe e attrezzature attraverso lo Stretto. Senza contare la necessità di rifornimenti e aiuti, si aprirebbe anche il problema di mantenere il territorio eventualmente conquistato.
Altre problematiche da affrontare per le forze di Pechino: le poche spiagge presenti a Taiwan che si prestano a uno sbarco, e dunque la prevedibilità della localizzazione dello stesso. E anche la necessità di concentrare mezzi navali e truppe sulla sponda meridionale del Fujian. Movimenti che difficilmente passerebbero inosservati. Gli ipotetici scontri a fuoco avverrebbero su uno scenario prettamente urbano. Anche nel suo punto più stretto, lo Stretto misura 130 chilometri e le condizioni meteorologiche sono notoriamente complicate, con due stagioni monsoniche. Secondo diversi analisti ciò lascia solo due brevi “finestre di attacco”, da maggio a luglio e a ottobre. Inoltre, nelle acque sono disseminate isole periferiche amministrate da Taipei come l’arcipelago delle Penghu, dove sono presenti radar e missili che potrebbero infliggere gravi perdite durante la prima fase di transito della flotta. Detto questo, l’esercito cinese si sta rafforzando a grande ritmo e ha appena lanciato la sua terza portaerei, tra l’altro chiamata proprio Fujian e in uno scontro di lunga durata peserebbe la sperequazione di forze in campo.
Invasione di un’isola minore
Un’altra opzione di cui si è discusso molto è quella dell’invasione di una delle isole minori amministrate da Taipei. Nel mirino potrebbero finire in particolare Kinmen, nel punto più vicino a soli 2 chilometri di distanza dalla metropoli di Xiamen, nel Fujian cinese. Oppure le Matsu, cinque isole sempre a una manciata di chilometri dalla costa orientale del Fujian nelle quali sono peraltro presenti siti missilistici che rappresenterebbero un obiettivo sensibile in caso di conflitto. Terza opzione le isole Dongsha, a circa 300 chilometri al largo di Hong Kong. Essendo isole disabitate, si presterebbero ancora meglio a un’azione simbolica che non renderebbe necessario nemmeno utilizzare le armi. In ognuno dei tre casi, si tratterebbe comunque di una sorta di stress test dal quale la Cina potrebbe ritenere di uscire vincitrice: praticamente impossibile, vista la vicinanza geografica, che Stati Uniti o Giappone possano fare alcunché in caso di un’operazione simile.
A Pechino c’è chi pensa che un’azione del genere possa fiaccare le resistenze dei taiwanesi, i quali non vogliono la “riunificazione” ma la prontezza e capacità a combattere è tutta da verificare. L’invasione di un’isola minore sarebbe comunque un azzardo per provare a costringere Taiwan a sedersi al tavolo negoziale. Ma le tensioni degli ultimi anni e l’invasione russa dell’Ucraina hanno ampliato ancora di più il solco sullo Stretto e c’è chi ritiene che la presa di un’isola minore avrebbe semmai il risultato di impedire qualsiasi tipo di futuro dialogo con Taipei senza allo stesso tempo favorirne la sconfitta politica.
Attacchi mirati a obiettivi strategici
Centrali elettriche, siti militari, stazioni radiotelevisive, edifici governativi. Potrebbero essere questi gli obiettivi di attacchi missilistici o aerei mirati da parte delle forze di Pechino. Senza preavviso, le forze dell’Esercito popolare di liberazione potrebbero lanciare attacchi massicci di saturazione contro obiettivi chiave militari e civili. Questi includono campi d’aviazione, porti, radar di difesa aerea, nodi di comunicazione, centri di comando e quartieri generali militari, batterie missilistiche, basi navali, grandi navi da guerra, ponti chiave, reti di comunicazione, stazioni e reti elettriche, edifici governativi, stazioni radiotelevisive, centri dati e principali arterie di trasporto. Schierando poi forze missilistiche, navali e aeree per impedire agli Stati Uniti e ai suoi alleati di inviare forze in aiuto di Taiwan.