venerdì, Dicembre 8, 2023

Il paradosso dei viaggi nel tempo potrebbe non essere un paradosso

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Quando si parla di viaggi nel tempo e paradossi, la prima immagine che viene in mente – non potrebbe essere altrimenti – è quella della foto di famiglia di Marty McFly (al secolo Michael J. Fox), in cui progressivamente sbiadiscono, fin quasi a scomparire, le sagome del fratello e della sorella: tutto perché Marty, spostandosi nel passato con la DeLorean costruita dall’amico Doc, ha inavvertitamente sedotto sua madre prima che conoscesse suo padre. 

Ed ecco il paradosso: se la mamma di Marty non conosce suo padre, Marty non può nascere; e se Marty non può nascere, non può tornare nel passato. Il nome di questo problema – per la precisione si tratta di un’antinomia, cioè del tipo di paradosso che indica la compresenza di due affermazioni contradditorie entrambe dimostrabili o giustificabili – è paradosso del nonno: la sua prima descrizione, a opera dello scrittore di fantascienza René Barjavel, è riferita all’ipotetica situazione (analoga a quella di Ritorno al futuro, così come di molte altri film e libri che trattano il tema dei viaggi nel tempo) in cui un nipote torni indietro nel tempo e uccida suo nonno prima che incontri sua nonna, dunque prima che possa sposarsi e avere discendenza; in questo modo, ancora una volta, l’azione del viaggiatore nel tempo ne rende impossibile sia l’esistenza che il viaggio stesso nel tempo.

Le cose si sono appena fatte (ancora più) complicate. Recentemente, due fisici – Venkatesh Vilasini, dello Eth Zurich, e Roger Colbeck, della University of York – hanno infatti proposto un nuovo cervellotico approccio al paradosso, i cui dettagli sono descritti in due articoli (questo e questo) caricati sul server di pre-print ArXiv. L’analisi di Vilasini e Colbeck si è concentrata su un caso particolare di possibili soluzioni del paradosso del nonno, il cosiddetto causal loop, o ciclo causale, che descrive una situazione (ipotetica) secondo la quale un certo evento (un’azione, un’informazione, l’esistenza di un oggetto o di una persona) è tra le cause di un altro evento, che a sua volta è esso stesso tra le cause del primo. 

In questa situazione non ha più senso parlare della causa di un evento: per comprendere il perché ci si può rifare all’illuminante esempio offerto dal fisico Allen Everett. Supponiamo che un viaggiatore nel tempo consegni le equazioni della teoria della relatività ad Albert Einstein prima che quest’ultimo le abbia formulate, autorizzandolo a divulgarle: in questo caso le equazioni che finiranno nei libri di testo non avranno una vera e propria origine, a causa (!) di questa sovrapposizione di cause. 

Come racconta il New Scientist in un approfondimento dedicato al tema, la causalità può essere definita in due modi: il primo implica la descrizione delle relazioni tra due entità nello spazio-tempo (ossia quanto sono lontane e se l’una viene prima dell’altra o viceversa), mentre l’altra implica l’analisi del flusso di informazioni da un’entità all’altra. “Siamo abituati a dire che la correlazione non implichi la causalità – spiega Vilasini – e invece noi ci siamo concentrati sul contrario, ossia sul fatto che la causalità non implichi la correlazione, o più precisamente la capacità delle due entità di scambiarsi segnali”. Ovvero, per tornare all’esempio precedente, alla possibilità che Einstein possa scoprire le sue equazioni basandosi su informazioni provenienti dal suo futuro ma senza mai comunicare direttamente con il viaggiatore nel tempo. Tutto questo può avvenire in un universo simile al nostro ma non troppo: “Le tre dimensioni spaziali del nostro universo – spiegano i due autori dello studio – potrebbero cambiare le equazioni dei cicli causali rendendoli impossibili, ma non ne siamo ancora sicuri”. Figuriamoci noi.

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