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Attenzione: spoiler sulla seconda e terza stagione
Dota Dragon’s Blood su Netflix è arrivata alla sua terza stagione, continuando un viaggio fantasy di grande originalità e impatto visivo. La serie prodotta dallo Studio Mir è, assieme a The Witcher: Nightmare of the Wolf, una delle migliori trasposizioni animate di un mondo videoludico viste recentemente. Fino a oggi non ha avuto la considerazione che meritava ed è un vero peccato, perché è caratterizzata da una grande complessità a livello di trama e significati. Dota Dragon’s Blood non si accontenta di una confezione spettacolare, ma pone dei quesiti universali sull’uomo e il suo rapporto con l’universo tutt’altro che semplici e banali.
Tra nuovi mondi e vecchie conoscenze
Dota Dragon’s Blood ricomincia dall’epico finale della seconda stagione, con il protagonista, il cavaliere del Drago Davion, che assieme a Mirana (ora la nuova Imperatrice), Kaden, Luna e Fymryn, scende nell’inferno-prigione noto come Foulfell per lo scontro finale contro il terribile Terrorblade. Il demone è riuscito infine ad avere ragione anche del possente Dragone Slyrak, che aveva usato in passato Davion come una sorta di ospite per far sopravvivere la propria coscienza, e ora è a un passo dal riuscire nel suo obiettivo finale: plasmare l’universo a sua immagine.
In soccorso di Davion e gli altri troviamo inaspettatamente lui, l’Invocatore, per molto tempo complice di Terrorblade, ma ora deciso a fermarlo senza indugio.
Sarà solo l’inizio di un complesso e imprevedibile viaggio tra diverse realtà e possibilità, con il ritorno di tanti personaggi che pensavamo perduti per sempre e soprattutto un’evoluzione davvero sorprendente di quelli che credevamo di aver compreso intimamente. Se l’insieme vi sembra un labirinto narrativo in cui è molto facile perdersi, sappiate che non è un’opinione totalmente priva di senso, eppure proprio in tale intricata natura (che può per certi versi ricordare The Witcher) risiede gran parte del fascino di questa serie, che in questa terza stagione si spinge al limite per quello che riguarda la capacità di osare, di andare oltre il desueto o il prevedibile.
Antichi misteri, nemici dai mille volti, guerre e una lotta per la supremazia sul creato si susseguono, distruggendo ogni certezza, su tutte la dimensione spazio-temporale in cui i personaggi si trovano. Dota Dragon’s Blood alla fine, abbraccia in modo entusiasta il concetto di multiverso come capitato in altre serie. Viene meno la causalità come principio fondamentale della realtà, confutata fino al punto di suggerire l’esistenza di un equilibrio universale che trascende ogni possibile variabile creata dall’uomo. Ma anche su tale tesi, il finale lascia più di un’incertezza allo spettatore.
Un fantasy connesso a dilemmi universali
Tra i tanti temi trattati in Dota Dragon’s Blood, brilla quello della paternità, soprattutto grazie all’Invocatore, che finalmente ricrea la perduta figlia Filomena, un personaggio di incredibile sensibilità e curiosità, quasi la voce della sua coscienza. Ma davvero è tutto così perfetto come sembra? Se già nelle due stagioni precedenti questo villain incredibilmente ambiguo e machiavellico era stato il cardine del motore narrativo, ora nella terza lo troviamo investito di una vulnerabilità e un’umanità ancora più pronunciate. A un potere sostanzialmente sconfinato, al suo genio strategico, si aggiunge la volontà di sconfiggere la propria sofferenza. Per ottenere ciò è pronto ad ogni gesto, anche il più estremo e il più freddamente egoista.