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Chi ha visto Sto pensando di finirla qui sa che Jessie Buckley ha una certa tendenza a muoversi dentro paesaggi cerebrali, ad attraversare luoghi fisici che in realtà sono posti della mente dei personaggi che interpreta e nei quali incontra la personificazione di desideri, paure, ansie e problemi. Avviene anche in Men di Alex Garland, nel quale gli uomini (come dice il titolo) sono il centro delle paure e delle ossessioni di una ragazza che ha affittato un cottage nella campagna inglese per il weekend, da sola. È lì per starsene ritirata mentre elabora il trauma della morte del compagno, suicidatosi proprio dopo una fortissima litigata e la promessa della fine di ogni rapporto. Una passeggiata nella natura e l’incontro con un uomo nudo che sembra dormire e vivere lì, nei boschi, scatena un’ossessiva caccia nei suoi confronti da parte di un gruppo di uomini di diverse età, tutti con la stessa faccia.
Dopo Ex Machina e Annientamento Alex Garland gira un film totalmente concettuale, uno in cui di nuovo c’è il percorso di una donna che cerca di rendersi autonoma e superare le sue barriere frutto del rapporto con gli uomini, ma in cui la dimensione psicologica del processo, per non dire quella simbolica, sono così evidenti da oscurare il resto. È infatti di nuovo la scenografia la parte più importante: la grande casa dall’arredamento rosso, il bosco quasi idilliaco e un giardino con un albero di mele sono tutti dettagli che non sono dettagli, ma parti fondamentali di una storia complicata da seguire e che non ricompensa chi ci provi. La maniera in cui il film crea questo ambiente unendo analogico e digitale, per formare qualcosa di familiare ed impossibile al tempo stesso è eccezionale.