giovedì, Giugno 8, 2023

No, non si può sentire il suono dei buchi neri

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Rappresentazione delle onde sonore in propagazione in un mezzo. Credits: Dan Russell

Questa è la più grossa differenza rispetto alle onde luminose, perché la luce dà invece il meglio di sé proprio nel vuoto, dove non interagisce con la materia ed è quindi libera di propagarsi alla sua velocità massima. Ma si tratta pur sempre di onde, e quindi anche quelle acustiche, proprio come le onde luminose, sono caratterizzate da una frequenza: più è alta più il suono è acuto, più è bassa e più il suono è grave. Sono concetti di cui abbiamo esperienza in continuazione: quando parliamo o cantiamo sono le nostre corde vocali a vibrare a frequenza minore o maggiore e a innescare la propagazione di un’onda sonora nell’aria. È evidente quindi che nello spazio, perlopiù vuoto, il suono non si può propagare.

Le sonificazioni

Quei “la musica degli anelli di Saturno” o “ascolta due buchi neri che collidono” o le mille varietà che si trovano in rete, sono pertanto titoli fuorvianti, perché lasciano intendere appunto che si tratti di suoni reali che effettivamente potremmo sentire se ci trovassimo nello spazio. Spesso quello che ci si dimentica di sottolineare è che quel suono non esiste e non si propaga, è un modo di rappresentare i dati noto come sonificazione. Significa che vengono prese le frequenze di altre onde – siano esse luminose o gravitazionali – e le si converte in frequenze acustiche. È una pratica molto seguita sia per presentare alcuni dati difficili da visualizzare, sia anche da un punto di vista strettamente artistico, per creare musica. Non deve essere visto come qualcosa di scorretto: del resto anche quando mettiamo dei dati su un grafico stiamo solamente scegliendo un modo di rappresentarli che faccia leva su altri sensi rispetto all’udito, ma resta pur sempre una scelta arbitraria.

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Spesso, per quanto riguarda i pianeti, le sonificazioni fanno riferimento alle emissioni radio dei loro campi magnetici. Le particelle cariche intrappolate nei campi magnetici di pianeti come Giove o Saturno, emettono radiazione alle frequenze radio, la cui conversione viene piuttosto bene perché l’orecchio umano può percepire frequenze acustiche comprese tra i 20 e i 20mila Hertz, intervallo che comprende, in frequenze luminose, proprio le onde radio. Ma molte volte vengono modificati gli intervalli proprio per rendere possibile l’ascolto: è il caso per esempio dei martemoti della sonda InSight, la cui frequenza è stata amplificata di 60 volte.

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