sabato, Giugno 10, 2023

Pierpaolo Piccioli, un uomo di sinistra

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È vestito da Pierpaolo Piccioli: sneakers bianche, pantaloni classici neri, t-shirt nera, occhiali da sole. Sono certo di non avergli ancora chiesto informazioni sui pantaloni quando lui inizia a parlarmene mentre siamo ancora ai saluti: «Sono tutti uguali, sempre lo stesso modello e sempre lo stesso tessuto, però alcuni sono due taglie in più della mia, altri tre e altri quattro. Scelgo di quante taglie in più indossarli in base a quanto voglio cambiare silhouette, cambia molto se indossi una 52 o una 54».

Questa cosa del cambiare le cose lavorando su una questione di qualche centimetro di tessuto, ritornerà più volte in questa intervista. Ma prima della divisa da Pierpaolo, quasi sempre abbreviato in PP, c’erano altri vestiti rappresentativi del suo essere un designer, ad esempio il completo nero con camicia bianca e cravatta col nodo sottile, un po’ come Le Iene di Tarantino. 

«Non è una scelta, è successo in modo del tutto casuale, non ho pensato di vestirmi da Pierpaolo, però ho capito che dovevo distanziarmi dalle cose che facevo. E poi mi piace l’idea dell’uniforme, mi sento un operaio della moda. Volevo un’uniforme da lavoratore: ho le sneakers bianche, gli stessi pantaloni, la stessa t-shirt. In inverno anche felpa e cappotto, d’estate niente o una camicia. E una cintura elastica che è sempre la stessa… Mi vesto così da 5 o 6 anni».

Gli chiedo come sia arrivato a questa nuova uniforme.

«Quando sono diventato l’unico direttore creativo da Valentino sono successe tante cose, mi sono sentito più nudo. Fino a prima, con Mariagrazia Chiuri, era un lavoro. Poi è diventato completamente me stesso e forse per questo ho sentito di dovermi distanziare da quello che facevo. Allontanarmi, dovendoci stare ancora più dentro come persona. Nella vita privata ho un armadio di camicie colorate, sono pieno di camicie a fiori ma le metto nel tempo libero, nel tempo che non è del lavoro».

Ci sediamo a un tavolino, prendiamo dei caffè, lui continua a fumare. Sembra che fumare gli piaccia molto, è un maestro del gesto del fumo. Come ha iniziato con la moda?

«Io da piccolo non sognavo di fare lo stilista, la moda è un po’ successa. Volevo diventare un regista. Avevo 14 anni e da Nettuno, dove stavo, guardavo i film e dai film mi sono appassionato alla fotografia. Da lì ho cominciato a interessarmi alle riviste, andavo a comprarle ad Anzio dove c’era l’edicola con i magazine internazionali, erano i primi anni 80. Quindi sono arrivato alla moda attraverso l’immagine di moda, non attraverso i vestiti. E in realtà è la cosa che ancora mi appassiona di più. Ho capito che l’immagine raccontava delle cose, che una foto poteva raccontare una storia. Le immagini fisse le ho sempre viste come un frame di un film più ampio attraverso l’immaginazione. Così ho iniziato l’Istituto Europeo di Design mentre facevo anche lettere e poi ho iniziato a lavorare».

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