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Kaleidoscope, Capsule, Spazio Maiocchi. Se dovessimo definirli usando le categorie più classiche, i primi due sono dei magazine che parlano di e per immagini, di arte e di arti applicate, il terzo è uno spazio espositivo in via Achille Maiocchi, a Milano. Ma in un’ottica più ampia e forse anche più contemporanea, tutte e tre sono piattaforme in cui, su cui e attraverso cui succedono delle cose. E Milano è il campo d’azione che le tiene tutte insieme. E poi c’è una persona, Alessio Ascari, che le ha create, le cura e le nutre.
Gli abbiamo chiesto qual è, oggi, lo stato di questi progetti e, di conseguenza della cultura visuale e del design. «Con Spazio Maiocchi abbiamo iniziato 4 anni fa, anche se sembra più tempo. Noi la chiamiamo scherzando anti-istituzione o anti-museo perché non abbiamo tutta la struttura burocratica di un museo, però è diventato uno di quei posti che sono un po’ iconici per la città, anche grazie alla comunità che gli si è creata attorno. I fondatori dello spazio, Slam Jam e Carhartt WIP, mi e ci hanno coinvolto dal primo giorno per costruire l’identità dello spazio, il branding, il tono di voce, la programmazione artistica. E per la prima volta forse a Milano abbiamo provato ad unire dei punti, delle comunità che c’erano ma non erano solite incontrarsi. In Maiocchi ci sono i cool kids, il mondo dell’arte, la moda, il design e l’architettura, l’editoria. In questi 4 anni secondo me lo spazio ha rispecchiato una certa identità milanese molto multidisciplinare. Kaleidoscope in questo è stato strumentale perché abbiamo provato a tradurre nello spazio, nella vita reale, un’attitudine che negli anni avevamo costruito sulla carta. Maiocchi è stato un esperimento interessante di traduzione di un’attitudine editoriale all’interno di uno spazio fisico in contatto con una comunità locale. Ha funzionato, e adesso è una realtà collettiva che è un’estensione del magazine. Delle idee che sviluppiamo sul magazine le espandiamo e diventano mostre, eventi, programmi culturali. Questa trasformazione di contenuto da editoriale a curatoriale è molto interessante e abbastanza unica come formato culturale».