venerdì, Settembre 29, 2023

Jeanie Buss è pronta ad affrontare ogni sfida

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Jeanie Buss si sforza di non piangere davanti ai miei occhi, ma posso comprendere le sue lacrime. La presidentessa e azionista di maggioranza dei L.A. Lakers è nel bel mezzo del lancio di Legacy – La vera storia dei LA Lakers, una docuserie in onda su Hulu che parla della squadra, dei problemi affrontati a causa dell’enorme fama raggiunta da quando la sua famiglia, nel 1979, ha dato inizio nel basket all’era dello Showtime, uno stile spettacolare di gioco caratterizzato dall’elettrizzante ritmo dei Lakers. Il giorno della nostra intervista coincide anche con il compleanno di Kobe Bryant. Siamo alla vigilia della celebrazione del Mamba & Mambacity Day, un omaggio a Kobe e a sua figlia Gianna che, insieme ad altri sei passeggeri, è morta in un incidente aereo due anni fa. Per i fan di tutto il mondo, il processo di rielaborazione del lutto non è ancora terminato. Jeanie Buss, fresca di nomina, ha in più la responsabilità di reggere il peso di una rinascita e di ricominciare tutto da capo.

Jeanie, però, sa come affrontare ogni sfida. La sua docuserie è un’importante biografia sulla storia della propria famiglia che ha impiegato anni a raccontare in modo corretto. Dopo aver acquistato i Lakers nel 1979, suo padre Jerry ha rapidamente trasformato la squadra in una grande potenza. Preservare il senso e il valore del passato secondo la giusta prospettiva si lega alla decisa volontà di costruire un futuro vincente: è il lavoro della vita per Jeanie che ha assunto il ruolo di presidente del padre Jerry dopo la sua scomparsa nel 2013.

Non si parla di affari di famiglia senza il consenso dei diretti interessati. Di conseguenza, quando si è seduta a colloquio con GQ era ancora un po’ arrabbiata per Winning Time, la serie HBO sui Lakers. Le mancano ancora suo padre, Kobe e il sostegno di Phil Jackson. È fiduciosa per la prossima stagione dei Lakers, ma non rinuncia a dire che c’è bisogno di alcuni ritocchi. Secondo lei, il tour di riabilitazione della famiglia Buss è perfettamente in linea con le aspettative di un cambiamento di marcia vincente.

GQQuanto sei stata partecipe al processo di realizzazione della docuserie Legacy? È stato un lavoro lungo ed elaborato o abbastanza veloce?

Jeanie Buss – Sono stati sette anni di lavoro. Ne sono passati quasi 10 dalla morte di mio padre. A distanza di qualche tempo, grazie al racconto di tutte le innovazioni che ha apportato all’NBA, volevo che le persone ricordassero il suo contributo e ciò che i Lakers hanno significato per lui. Soprattutto il rapporto speciale che lo ha legato a Earvin “Magic” Johnson.

Non era mai accaduto nello sport che un imprenditore del calibro di Jerry Buss, un self-made man proveniente da una piccola città del Wyoming, si legasse a una superstar ventenne del Michigan. Avevano due background estremamente diversi. Eppure, hanno trovato la loro comune anima nell’amore per il basket e lo “Showtime”. Quando mio padre acquistò la squadra nel 1979, la prima cosa che fece fu scegliere Magic Johnson e in quella stagione da esordienti vinsero il campionato. Ritengo che sia stato il felice inizio di un rapporto consolidato nel corso dei decenni. Una nuova generazione di fan dei Lakers imparerà a scoprire chi è stato il Dr. Jerry Buss, cosa ha costruito con i Lakers, perché sono così speciali e ancora oggi valga la pena continuare a sostenerli.

Oltre a essere un affare di famiglia che valore hanno per te i Lakers?

Amo ripetere che mio padre aveva dei figli, ma i Lakers erano i suoi bambini. È stata un’impresa significativa per lui perché, da ragazzo, sentiva che i tifosi non consideravano importanti le società sportive della costa occidentale. I media si concentravano sulle squadre di New York, Philadelphia e Boston. Lui non è nato a Los Angeles, ma è diventata la sua casa e voleva regalare alla propria gente una squadra di cui essere orgogliosi, capace di competere con i Boston Celtics in termini di titoli. Ora sono passati 40 anni e siamo a pari merito con i Celtics in termini di successi. La sua era una missione davvero importante e ha creato una realtà che è conosciuta in tutto il mondo, uno dei nomi più celebri dello sport in qualsiasi campo. Abbiamo continuato a seguire le orme di mio padre e desideravamo raccontare la sua storia a modo nostro.

Grazie al lavoro di Antoine Fuqua, già regista del film Training Day e del documentario What’s My Name: Muhammad Ali, ogni cosa si è concretizzata in un racconto con un arco narrativo che arriva fino al campionato vinto nel 2020. È stato un lavoro pieno di amore e contiene filmati mai visti, oltre a una visione approfondita di come funziona il business nel basket e di cosa significano i Lakers per la mia famiglia.

Attualmente cosa significano i Lakers, dal punto di vista culturale, per Los Angeles e i suoi cittadini?

Il significato è quello di riunire una città molto eterogenea e divisa sotto una bandiera color oro e viola. Già negli anni ’80, il Forum è diventato l’epicentro di tutto ciò che riguarda lo sport e l’intrattenimento. Credo che la cosa più toccante sia stata ricevere una lettera da una nonna secondo la quale guardare le partite dei Lakers con il nipote tredicenne è l’unica cosa in comune tra i due e rappresenta un legame condiviso in modo profondo. A mio padre interessava che fossimo un ambiente molto inclusivo e desiderava la partecipazione di tutti a sostegno dei Lakers. Si pensa sempre ai posti a sedere sul parquet e a quanto siano costosi, ma quei biglietti hanno un prezzo alto in modo che i posti al piano superiore possano rimanere economici e più accessibili. È stato il primo proprietario ad avviare una rete sportiva regionale per trasmettere le partite casalinghe negli anni ’80, quando la maggior parte degli altri proprietari non voleva che gli incontri casalinghi venissero trasmessi nel proprio mercato perché avrebbero influito sulla vendita dei biglietti. Voleva raggiungere un pubblico più ampio, desiderava che tutti gli appassionati potessero vedere una partita dei Lakers.

Non vivo a Los Angeles e questo mi impedisce di sapere cosa pensano i tifosi della squadra dopo l’ultima deludente stagione. Come pensi che si sentano gli abitanti di Los Angeles?

Quando si fa il tifo per i Lakers c’è l’aspettativa di arrivare al titolo e la scorsa stagione non ci siamo riusciti, perciò sono stati fatti dei cambiamenti. I Lakers vogliono sempre essere competitivi per la vittoria finale e ciò significa che l’allenatore ha bisogno di avere a disposizione nella squadra elementi di un certo livello di talento e delle risorse necessarie a essere messo nelle condizione di vincere. L’aspettativa è che questa squadra torni al vertice. Vincere un campionato, però, è difficile. Devi fare in modo che una serie di meccanismi vadano per il verso giusto. Se non sei tra i favoriti o non entri nei playoff, non puoi vincere un campionato, no?

Il mio lavoro consiste nel fornire le risorse necessarie a competere ad alto livello. Rinnovare il contratto di un giocatore del calibro di LeBron James ci dà l’opportunità di tornare subito a farlo.

Il ragionamento non fa una piega: hai riottenuto la firma del miglior giocatore di basket.

Credi davvero?!

Lo credo senza ombra di dubbio!

[Un po’ scettica] Che mi dici di Joel Embiid?

Forse due giorni su sette penso che Joel Embiid sia migliore di LeBron James e ciò significa per proprietà transitiva considerare anche Embiid come il miglior giocatore del mondo. Ma non voglio crearti troppe aspettative.

[ride]

Quando eri ancora una ragazza, tuo padre andò a Las Vegas dopo aver acquistato la squadra per incontrare l’agente di Jerry Tarkanian perché voleva che diventasse il suo primo allenatore ai Lakers. Subito dopo quell’incontro, l’agente, Victor Weiss, fu assassinato, presumibilmente dalla mafia, e guidava un’auto simile a quella di tuo padre. Come hai vissuto il fatto che nelle prime settimane in cui tuo padre acquistò i Lakers, rischiò di essere ucciso?

Tutto è accaduto in un lampo. Quando si acquista una squadra del calibro dei Lakers, l’attenzione del pubblico diventa enorme. Come famiglia, non avevamo mai vissuto una situazione del genere. Il caso di Victor Weiss, soprattutto prima che la squadra giocasse una partita sotto la proprietà di mio padre… è stato sconvolgente. Fu un vero shock. Non capivamo cosa fosse accaduto e non sapevano nemmeno se il bersaglio fosse mio padre. All’improvviso, si riceve un eccesso di nuova attenzione e… si è trattato di un periodo difficile e delicato di formazione.

Alla fine, però, la curva di apprendimento si riduce, giusto? Hai avuto molto tempo per adattarti a questa realtà. Ti abituerai mai a possedere la più grande squadra di basket?

È un problema che fa parte del gioco, perciò devo essere preparata. Vivi una vita a contatto del pubblico, bisogna essere pronti alle critiche, alle domande, ai commenti, ai feedback negativi e a tutto ciò che ne consegue. Credo di essere preparata… beh, forse non sono davvero pronta a tutto! Il mio account Twitter è stato violato qualche settimana fa!

L’ho visto…

Non sai mai cosa ti aspetta. Per me è stato alienante perché mi sono sentita davvero in colpa per la situazione. Le persone si fidavano di me e del mio account. Ero un utente con la spunta blu. Ho potuto vedere nei messaggi privati come l’hacker fosse in grado di interfacciarsi con le persone che stava truffando. Mi si spezza il cuore.

Le persone pensano che sia possibile abituarsi ai pericoli della fama e del potere. Non ci si abitua mai veramente, vero? Oppure alcune cose sono diventate più facili di altre? Dove hai trovato la serenità nei momenti difficili?

La serenità arriva dalla gioia di stare insieme come comunità, in quanto tifosi dei Lakers. Oggi, mentre parliamo, è il compleanno di Kobe Bryant. Domani sarà il giorno del Mamba e della Mambacita, il 24 agosto. Dopo la traumatica scomparsa di Kobe e Gianna Bryant, tu, tu… pensi: «Come farò ad andare avanti?». [lacrima]
È troppo da sopportare. Il mio cuore è completamente a pezzi.

LeBron, alla prima partita dopo l’incidente, si è alzato e si è rivolto alla folla dicendo: «Siamo in lutto insieme come Laker Nation e ci uniremo per superare questo momento». Questa è la verità capace di riempirmi il cuore e l’anima: il significato che i Lakers possono avere per le persone nei momenti di tristezza, così come in quelli di felicità.

Lo sport può offrire tutti questi aspetti positivi, ma non è sempre così. Pensa agli anni pre-Tarkanian: i Lakers erano forse la terza o quarta scelta in città. Per far crescere la squadra avete venduto un’idea di comunità, ovvero la possibilità che le partite dei Lakers fossero accessibili a tutti. Come avete fatto a trasformare una società in crisi in una vera leggenda?

La formula di mio padre consisteva nel creare qualcosa che lui avrebbe voluto vedere. Ha ammirato lo stile di Magic Johnson nel torneo NCAA e gli è piaciuto molto il suo modo di gestire la palla. Giocava con il sorriso sulle labbra. Quella era la formula giusta.

Poi è arrivata l’era di Shaq e Kobe con Phil Jackson e ora siamo qui ad ammirare LeBron James. Si tratta di restare sempre attenti alle novità, di essere competitivi e di mettere in campo un prodotto che i tifosi vogliono vedere.

In un certo senso, c’è un parallelo tra il passato e il presente. Una brutta stagione l’anno scorso. Alcune stagioni negative nell’ultimo decennio. Quale opportunità stai cercando di creare per i Lakers in questo momento? Si tratta della presenza del nuovo allenatore Darvin Ham? L’idea è quella di ricostruire la squadra?

Abbiamo cambiato allenatore, quindi c’è una nuova voce. Continueremo, si spera, a non avere infortuni. Vogliamo che Anthony Davis rimanga in campo e sia in salute per tutta la stagione. E quando hai Anthony e LeBron, possono accadere un sacco di cose fantastiche. Ma devi avere un cast di giocatori di supporto in grado di ricoprire i ruoli e di non subire infortuni. Abbiamo Kendrick Nunn che sta tornando dopo aver saltato la scorsa stagione e molti giovani giocatori che… potrei fare dei nomi, ma finché non vediamo come giocano non è possibile… Dobbiamo dare a Darvin Ham tutto il tempo e le risorse di cui ha bisogno per mettere insieme la squadra e vedere come si evolve.

Una tra le cose su cui ti sei pronunciata con maggiore enfasi in occasione dell’uscita della docuserie Legacy è l’importanza di raccontare la storia dei Lakers in modo diretto, attraverso le persone che ne hanno fatto parte. Pensi che sia fondamentale ascoltare le testimonianze di chi ha vissuto realmente quei momenti?

L’enfasi nel sottolineare il valore della testimonianza diretta è in polemica con il progetto mandato in onda dalla HBO intitolato Winning Time, una serie basata sui Lakers “Showtime”. Non sto dicendo alle persone di guardarla o di ignorarla perché ognuno deve sentirsi libero di fare le proprie scelte, ma ho ravvisato molte imprecisioni. Alcune cose le hanno azzeccate, ma quando qualcun altro si occupa della tua storia, ti toglie l’opportunità di raccontarla.

Per questo abbiamo voluto avere l’opportunità di consentire a tutti di raccontarsi, offrendo a ciascuno il modo di condividere la propria verità. È stata anche un’occasione per la mia famiglia di riunirsi e condividere il proprio punto di vista sulla faida che c’è stata tra me e i miei fratelli e su come oggi abbiamo risolto le cose. Era importante che i miei fratelli potessero esprimersi in merito.

Un sacco di spettatori hanno amato Winning Time, ma capisco che una storia del genere possa suscitare in te un sentimento personale, dato che si tratta della tua famiglia. Quanto è stato toccante per te?

Sono combattuta perché credo che John C. Reilly abbia colto molto di mio padre nella sua interpretazione. E, sai, quanto soffro la sua mancanza. Perciò devo ammettere che rivivere attraverso uno schermo alcuni di quei bei ricordi è stato emozionante. La cronologia, però, era completamente sbagliata a proposito di mia nonna e di altre questioni importanti. Mi sembrava di assistere a uno show televisivo, non alla mia vita.

Hai parlato dei tuoi fratelli: c’è ancora tensione in famiglia dopo quanto è accaduto? Nel guardare Legacy si ha l’impressione che ci sia ancora un po’ di maretta. Però, tu hai accennato al fatto che il conflitto è ormai risolto: come vanno le cose?

Molto bene. Questo documentario ha favorito la nostra riconciliazione e tutti hanno potuto dire la loro. Quando mio padre è morto, il valore dei Lakers si aggirava intorno a un miliardo e mezzo di dollari, ma in quel periodo non erano ancora stati venduti i Clippers a Steve Ballmer a due miliardi di dollari. Attualmente, secondo la valutazione di Forbes, la nostra squadra vale più di cinque miliardi di dollari.

Nel corso di questi 10 anni, sono convinta di essere stata apprezzata per la gestione del marchio. Ho tutelato gli azionisti. Abbiamo vinto un campionato e ora siamo a pari merito con i Celtics in termini di titoli. Insomma, ero la persona giusta per questo lavoro e ho raggiunto l’obiettivo caro a mio padre.

Quando si passa l’intera vita con una squadra, le storie da raccontare sono molte. Qual è la tua preferita?

[Sorride] Ti riferisci ai giocatori in genere o a qualcuno in particolare?

La prima cosa che ti è venuta in mente.

Lo sai, parlo spesso di Phil Jackson. Quando mio padre l’ha assunto, ho alzato gli occhi al cielo chiedendomi perché mai avremmo dovuto avere come allenatore un tizio del genere. Ha un carattere estremamente maniacale, deve avere sempre il controllo su tutto. Poi, come risaputo, abbiamo iniziato una relazione che è durata 17 anni. È famoso il suo vezzo di regalare libri ai giocatori. Durante il primo lungo viaggio in macchina della stagione, gliene donava uno. Loro li buttavano nell’armadietto o se ne facevano beffa anche pubblicamente.

Alla fine, ho sentito la necessità di dirglielo: «Non capisco. Perché continui a farlo? Non li leggono».

E lui mi ha prontamente risposto: «Jeanie: non è importante che leggano subito. Un libro può rimanere sullo scaffale per 10 anni, ma un giorno lo leggeranno. Così riceveranno il messaggio quando saranno pronti per quello che stavo cercando di condividere con loro». Sono piccole cose come questa… il fine e il significato che questo gioco può avere per le persone che ne fanno parte.

Sto di nuovo pensando a Kobe. Qualche anno fa ha chiamato Phil. Dopo essersi ritirato, ha iniziato ad allenare la squadra di basket di sua figlia. Stava insegnando loro il Triangle Offense. Ha fatto una chiamata a Phil in Montana e gli ha chiesto: «Puoi darmi altri consigli di lettura?». Sono certa che un giorno Kobe sarebbe stato un allenatore NBA straordinario. Phil ha continuato a suggerirgli libri e nuove idee. È una specie di dono…

I tifosi dei Lakers fans sono ovviamente degli autentici folli…
[riacquista il sorriso]

Quando la propria squadra vince così tanto diventa naturale convincersi che la vittoria sia un diritto acquisito. Per quanto riguarda te, hai avuto il lusso di vedere tutto e sei appena uscita da una stagione tumultuosa. Ora ne stai preparando un’altra molto delicata: cosa ti fa rimanere con i piedi ben puntati a terra nei momenti difficili?

Phil Jackson diceva sempre che «ogni anno il percorso per arrivare al titolo è differente». A volte può essere in salita o, magari, passa attraverso una foresta pluviale! [ride] Comunque, non bisogna mai perdere la convinzione che alla fine del viaggio arriverà il successo e devi continuare a percorrere la tua strada. Ogni passo ti avvicina a quel traguardo. Non si può vincere ogni anno, ma la mente e il cuore devono restare aperti e credere sempre di poterci arrivare.

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