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Video esplicativo Tommi – Softcares Studios
L’uso di Tommi è pensato per un paziente medico ospedalizzato sottoposto a trattamenti medici dolorosi, invasivi, stressanti. “Abbiamo iniziato con la pediatria oncologica, quello è stato il nostro primissimo focus: supportare il bambino ad aiutare la chemioterapia, la lungo degenza, la paura dei farmaci. E adesso ci stiamo spostando sul ‘pain management’, la gestione del dolore”. Nello specifico il gioco è usato durante il prelievo di sangue oppure in interventi delicati come l’accesso vascolare, arrivando quasi alla fase pre-chirurgica. Per adesso Softcare ha sperimentato quest’applicazione all’Ospedale Buzzi di Milano, in collaborazione con il Fatebenefratelli e Sacco:
Incontrando Valentino e Cristian, due professionisti giovani che propongono una realtà così immaginifica che tocca la sensibilità dei più piccoli, è difficile immaginare la trafila di approvazioni che hanno dovuto superare per ottenere la fiducia del personale medico e delle famiglie dei pazienti. “Spesso i genitori sono più contenti che il figlio non inizi un percorso farmacologico – precisa Currò – e comunque il loro ok arriva dopo quello del comitato etico dell’ospedale e del personale medico”. Sulla salute, specie dei più piccoli, non si scherza mai. Soprattutto quando in ballo c’è il tema della sofferenza.
Il trattamento del dolore dal punto di vista psicologico
Il dolore ha due componenti: una psicologica e una fisica. Come spiega Megale, “la persona sente il dolore durante le somministrazioni di Tommi ma il dolore diventa accettabile. Se riduci la componente psicologica monopolizzando l’attenzione del paziente su qualcos’altro, lui penserà molto meno al dolore, quindi anche quello che viene percepito a livello fisico sarà messo in secondo luogo. Questo è l’obiettivo del nostro lavoro”. Currò parla della percezione che può avvertire il paziente: “Non ricordi che c’è un ago di 7 centimetri che sta entrando nel tuo corpo, ma pensi ad altro, sei distratto dalla realtà virtuale e avverti un solletico, o comunque qualcosa di non doloroso, che non fa paura”. L’uso della realtà virtuale per gestire il dolore nasce negli anni Novanta negli States, che spesso sono precursori di tecniche biomediche quasi fantascientifiche. L’idea parte del presupposto che i farmaci hanno effetti sistemici che impattano su tutto il corpo, mentre nel caso della realtà virtuale non ci sono effetti, ad esempio, che impattano, sulla qualità degli organi. Precisa Megale:
Certo, non tutti gli esseri umani hanno la stessa capacità di sopportazione del dolore o la stessa reazione. “Da diversi studi, abbiamo definito come il 60% dei bambini sia blinders, cioè pazienti che sottoposti a situazioni di dolore, stress, ansia cercano di evitare il dolore evitando lo stimolo, guardando altrove. La realtà virtuale amplifica questa strategia perché se il bambino cerca un altro posto dove guardare con la realtà virtuale guarda molto altrove. Definiamo un altro 30% dei bambini come monitors, cioè pazienti che quando sentono dolore devono guardare, vogliono avere sotto controllo la situazione: nel loro caso la realtà virtuale non funziona, anzi può produrre più ansia”. Per riconoscere la reazione del soggetto bisogna formare il personale medico, che sarà quindi in grado di riconoscere la tipologia di paziente e agire di conseguenza. Effetti collaterali dell’uso della realtà virtuale come la cyber sickness (nausea o mal di testa) dipendono spesso da un software troppo pesante per il visore in dotazione: “Lo abbiamo evitato come la peste fin dall’inizio, aggiungendo potenza di calcolo al nostro visore in modo da impedire l’incorrere di time lag – chiude Megale – E diciamo sempre di non utilizzare il gioco per più di 40 minuti, perché il wearable affatica gli occhi: si tratta alla fine di indossare un computer”. Proprio delle potenzialità dei device di realtà virtuale indossabili tratta l’innovazione presentata da un’altra startup italiana.
Toccare un oggetto virtuale e amplificare l’esperienza
Da un software VR rivoluzionario nella dimensione reale ad un hardware altrettanto disruptive per l’esperienza virtuale. Anche Giovanni Spagnoletti e Guido Gioioso, co-fondatori di Weart, hanno presentato all’appuntamento londinese di Smau una tecnologia inedita che aggiunge all’esperienza virtuale, oggi centrata su audio e video, la parte tattile. “Il nostro prodotto si chiama TouchDiver – spiega Spagnoletti – e dal punto di vista tecnologico digitalizza l’esperienza virtuale.
Noi ci occupiamo della produzione software che quindi permette di aggiungere anche il layer tattile all’esperienza virtuale”. L’obiettivo è creare un’interfaccia simile all’esperienza reale. Anche Wired, presente a Smau, ha avuto la possibilità di testare il prodotto di Weart. Ed è vero che tramite questo device si valorizzano calore, dimensione, sostanza di un oggetto virtuale, anche in modo piuttosto evidente.