giovedì, Giugno 8, 2023

I pensieri positivi aiutano davvero a vivere più a lungo?

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Facciamo subito un esercizio di riflessione sul tema dell’invecchiamento: pensa a una persona anziana che, ad esempio, potrebbe avere la stessa età dei tuoi nonni, poi elenca le prime cinque parole o frasi che ti vengono in mente. Ora analizza la lista appena compilata. Le tue parole sono di segno positivo o negativo? Questo è un esercizio che la dottoressa Becca Levy fa completare ai suoi studenti al primo giorno del corso di Health and Aging, Salute e Invecchiamento tenuto a Yale, dove svolge l’attività di professoressa in materia di Sanità pubblica e psicologia ed è diventata una delle principali ricercatrici sull’invecchiamento degli Stati Uniti. Le risposte dei suoi studenti spaziano da «rimbambito» e «testardo» a «camminatore» e «dolce». La maggior parte delle definizioni, soprattutto le prime, tendono a essere negative.

Secondo quanto sostiene la professoressa nel suo nuovo libro dal titolo Breaking the Age Code – How Your Beliefs About Aging Determine How Long & Well You Live, il problema è proprio questo. La sua ricerca ha dimostrato che le culture orientate a pensare negativamente alla vecchiaia, quelle che lei definisce società condizionate da «convinzioni negative sull’avanzare dell’età», possono avere un impatto negativo sulla nostra salute durante l’invecchiamento. In altri termini, fissare il pensiero sul timore che con il passare degli anni si avrà un declino fisico e cognitivo porta paradossalmente a un più rapido decadimento. In uno studio particolarmente scioccante, la dottoressa Levy ha scoperto che il modo in cui si pensa all’età può aumentare o diminuire la durata della vita fino a sette anni e mezzo. «Le convinzioni sociali sull’età influenzano la nostra salute e i marcatori biologici dell’invecchiamento», scrive nel suo libro. «Quando si tratta di capire il nostro modo di invecchiare, la società è spesso la causa e la biologia l’effetto». L’autrice non nega gli effetti negativi del passare del tempo sul nostro organismo, bensì afferma di non considerarli tutti inevitabili e, cosa più importante, che possiamo migliorare le nostre possibilità di scongiurarli se modifichiamo il nostro modo di pensare all’invecchiamento. Nel suo lavoro di laboratorio, è stata in grado di potenziare le capacità di equilibrio, la memoria e persino la voglia di vivere dei soggetti sottoposti a test, dopo averli persuasi ad avere una visione più positiva della loro condizione.

GQ – Puoi offrirci un esempio sulla differenza tra una convinzione positiva sull’età e una concezione negativa?
Dottoressa Levy – Le parole legate alle «convinzioni positive sull’età» sono alcune tra quelle che vengono considerate caratteristiche tipiche delle persone anziane. Ad esempio, «saggezza» e «fantasia». Le convinzioni negative sull’età sono «debolezza», «rimbambimento», «regressione».

In generale, è corretto affermare che la società americana tende ad avere un maggior numero di convinzioni negative sull’età rispetto a quelle positive?
Esatto. La buona notizia è che, nonostante la prevalenza di pensieri negativi sull’età, la maggior parte delle persone ne ha anche alcune di segno opposto. Quando chiediamo: «Quali sono le prime cinque parole o frasi che ti vengono in mente in relazione a una persona anziana?», abbiamo scoperto che le prime frasi o parole sono più negative, ma spesso alla quarta o alla quinta si parla di qualcosa di positivo.

Che cosa migliora in noi con l’avanzare dell’età?
Alcune ricerche hanno evidenziato un progresso nella metacognizione, ovvero nella capacità di valutare le proprie modalità di pensiero. Si può notare un miglioramento nella risoluzione dei conflitti interpersonali e politici, grazie a una maggiore propensione a ricercare soluzioni creative. La qualità della salute mentale cresce attraverso una più corretta gestione delle emozioni, l’essere più consapevoli delle variazioni degli stati d’animo e il trarne profitto in modo costruttivo. È stato riscontrato che la profondità nel fare bilanci sul senso della propria vita migliora in età avanzata, ovvero aumenta l’efficacia nel valutare il peso e il ruolo delle diverse componenti della nostra esistenza in modo significativo e la conseguente possibilità di trarne insegnamenti costruttivi.

Nella tua ultima pubblicazione scrivi: «La rappresentazione popolare dell’invecchiamento come un periodo di inevitabile declino fisico e mentale non è corretta». Intendi dire che non c’è un declino con l’invecchiamento o che questo avviene in modi diversi o meno accentuati di quanto crediamo?
La chiave di tutto risiede nella parola «inevitabile». Esistono numerosi segnali che indicano una crescita e un progresso positivo di alcuni aspetti della salute fisica e mentale. Abbiamo scoperto che se rafforziamo le convinzioni positive sull’età, le persone mostrano miglioramenti proprio nel genere di conseguenze negative associate all’invecchiamento considerate come problemi inevitabili che si verificano con il passare degli anni. Ad esempio, abbiamo scoperto che la memoria episodica, cioè l’abilità di ricordare un avvenimento e nello stesso tempo dove e quando questo fatto ha avuto luogo, può migliorare nei partecipanti più anziani.

In che modo possiamo riuscire a cambiare gli stereotipi negativi che abbiamo sugli anziani?
Uno dei metodi consiste nello sviluppare un repertorio di immagini diverse e positive sull’invecchiamento. Consiglio alle persone di individuare almeno cinque modelli positivi di anziani, esempi di persone in età matura che ammiriamo. Alcune devono appartenere alla nostra vita, come i nonni o i parenti, e altre al mondo esterno. Poi chiedo di pensare a una o due qualità che ammiriamo davvero di quella persona e vorremmo fare crescere e rafforzare in noi stessi: umorismo, etica del lavoro, senso di giustizia sociale.

Sarebbe corretto concludere che avere convinzioni negative sull’età, come ritenere le persone anziane deboli o rimbambite, non è una causa diretta di malattie quali l’Alzheimer o la demenza senile, ma può renderci meno propensi a compiere azioni utili a prevenire queste stesse patologie? Da vero profano, sto cercando di riassumere in termini più semplici il suo pensiero
Esistono tre possibili livelli che ho esaminato nel corso della mia ricerca su cui agire. Livello comportamentale: una persona che ha assunto convinzioni positive sull’età è più propensa a mettere in atto una serie di condotte salutari o preventive, come mangiare bene e fare attività fisica. Poi c’è il livello psicologico: chi ha assimilato il valore di un maggior numero di credenze positive potrebbe avere un maggior senso di padronanza o di benessere. Il terzo è il livello fisiologico: lo stress è un aspetto importante. Dopo avere analizzato diversi biomarcatori dello stress, abbiamo scoperto come gli individui che hanno accolto più credenze positive tendano ad avere minori rischi cardiovascolari e un minore tasso di cortisolo, un ormone associato agli stati di tensione che induce un aumento del tasso glicemico. In sintesi, se una persona assume convinzioni positive sull’età riesce a usufruire di una serie di meccanismi benefici che possono migliorarne la salute o ridurre il rischio di alcune malattie.

È corretto dire che le persone per migliorare la propria salute o allungare la durata della vita, devono concentrarsi su tre fronti mentre invecchiano: psicologico, fisiologico e comportamentale?
Beh, direi che il libro considera i pregiudizi sull’età come il problema che sta alla base di tutto. Se si cambia uno dei fattori a monte, come le convinzioni sull’età, possiamo indurre un effetto a catena che si ripercuote su altri elementi a valle. Alcuni interventi non riescono sempre a essere efficaci perché non tengono in considerazione il contesto strutturale, sociale e culturale di alcuni di questi fattori. Se riusciamo a rafforzare le convinzioni positive sull’età, avvieremo un circolo virtuoso in grado di avere un effetto positivo sui meccanismi comportamentali, psicologici e fisiologici che, a loro volta, possono avere un impatto concreto in termini di beneficio sulla salute.

L’idea da te sostenuta e dimostrata dalla tua ultima ricerca, è che tutti noi invecchiamo più velocemente perché viviamo a contatto con una cultura in cui la società denigra gli anziani. In qualche modo, stiamo tutti invecchiando male a causa di questa errata rappresentazione?
Esatto. Va aggiunto come tali pregiudizi possano condizionarci negativamente senza che ce ne rendiamo conto. È importante riuscire ad aumentare la nostra consapevolezza, a prendere il controllo e a modificare i messaggi a cui siamo esposti. A livello sociale, l’ideale sarebbe trovare il modo di ridurre l’ageismo strutturale, cioè ogni forma di pregiudizio e svalorizzazione ai danni di un individuo, in ragione della sua età.

Per approfondire questa riflessione, possiamo parlare del Botox? In che modo l’ondata di interesse per il Botox si collega ad alcuni pregiudizi negativi sull’invecchiamento?
C’è stata un’impennata nell’uso del Botox e di diverse procedure cosmetiche per ridurre i segni fisici dell’età che avanza. Purtroppo, aumentano gli spot e i messaggi pubblicitari incentrate sui giovani. La creazione di un’autentica fobia nei confronti dell’invecchiamento è fonte di profitto. Questo tipo di messaggi, ahimè, sta alimentando le convinzioni negative sulla vecchiaia nella nostra società.

Mi chiedo se ricorrere alla chirurgia estetica sia un esempio di ageismo strutturale o solo il desiderio di non avere le rughe
Quello su cui mi sono concentrata nel libro è il ruolo della pubblicità e i grandi profitti che ha ottenuto attraverso la promozione di credenze negative sull’età e la paura di invecchiare. Si tratta di uno dei punti su cui potremmo intervenire a livello strutturale: rendere la pubblicità molto più positiva nei confronti della vecchiaia e mostrare una maggiore eterogeneità nei tipi di slogan e nelle immagini che vengono presentate.

Quali sono alcune tra le forme più comuni di ageismo strutturale?
Esistono epiteti usati in maniera frettolosa e superficiale dalle persone che ne abusano senza pensare alle conseguenze. Mi riferisco, ad esempio, al termine «senile» per descrivere un momento di smemoratezza, quando questo può accadere a qualsiasi età. Siamo di fronte alla tendenza a classificare la dimenticanza come qualcosa di intrinseco all’invecchiamento. C’è anche il fenomeno denominato elder speak, ovvero la tendenza a parlare alle persone anziane come se fossero dei bambini o dei neonati. È davvero facile per le persone adottare un linguaggio pregiudiziale.

Un altro modo per combattere l’ageismo strutturale potrebbe essere quello di prendere lezioni da altre culture meno individualistiche e più attente a considerare ogni singola persona come parte di una più vasta organizzazione. Come cambia il punto di vista esistenziale sull’invecchiamento?
Alcune delle culture positive nei confronti dell’invecchiamento hanno idee collettiviste e parte di questo può consistere nell’avere una strategia culturale orientata all’incontro tra generazioni diverse. Negli Stati Uniti, si è passati dall’essere uno dei paesi più integrati rispetto all’età a diventare tra i più divisivi. Uno degli aspetti strategici di questi paesi age positive è quello di avere un contatto significativo tra le generazioni. Alcune ricerche suggeriscono che uno dei modi migliori per superare i pregiudizi e le discriminazioni tra le età, insieme alle credenze negative, è creare un contatto o attività significative condivise tra le generazioni. Si possono superare alcune idee sbagliate e miti sull’invecchiamento attraverso esempi concreti di persone che sfidano i pregiudizi sull’età. Alcune ricerche dimostrano che gli ambienti di lavoro intergenerazionali sono più produttivi e innovativi.

A Yale tieni un corso di Health and aging. Cosa ti sorprende di più del modo in cui i giovani tendono a recepire la tua ricerca?
I giovani, di solito, non sono consapevoli dell’ageismo esistente nella nostra cultura, in parte perché viviamo in una società fortemente segregata in base all’età. Le opportunità per i più giovani di interagire e incontrare persone anziane nella vita di tutti i giorni sono spesso limitate e l’ageismo può essere implicito o diffuso, senza che ce ne rendiamo conto, in così tanti luoghi da rendere spesso difficile vedere cosa abbiamo davanti agli occhi. Tuttavia, ho scoperto che la maggior parte dei giovani, non appena si rende conto dell’ageismo, inizia ad arrabbiarsi molto contro il perdurare di questo fenomeno. Spesso cercano di trovare dei modi per combatterlo e superarlo. È stato gratificante notare la presenza di numerosi giovani come potenziali alleati per andare oltre questi pregiudizi sociali.

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