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A Venezia quest’anno non è venuto in concorso come capitato nel 2021 e nel 2017 ma per ritirare il primo vero grande premio della sua vita: il Leone d’Oro alla carriera. Nonostante i successi Schrader appartiene a quella categoria di cineasti che il sistema non premia, sempre marginale, sempre fedele a se stesso. Se n’è accorta Venezia (e meno male) e ora oltre a premiarlo mostra il suo ultimo film: Master Gardener con Joel Edgerton. Stavolta il lavoro è giardiniere. Un giardiniere duro, che sa tutto del grande giardino di una ricca donna che vuole eccellere alle fiere annuali (Sigourney Weaver) e quel che nasconde del suo passato ce l’ha tatuato addosso, così da non poterlo dimenticare. Sono tatuaggi da neonazista, svastiche e doppie S, teschi e frasi suprematiste.
Non se lo perdona quel passato lì, di violenza e soprusi, lo vuole espiare con una vita quasi monastica, tutta dedita al lavoro e a fare da svago sessuale per la sua padrona (non godendone ma anch’esso come pratica). Arriverà una ragazza con i suoi problemi a smuoverlo, a costringerlo ad uscire da questo processo di espiazione per prendere le redini di qualcosa e forse provare a superare il purgatorio che ha disegnato con la speranza di accedere ad una forma di paradiso. Del resto nei film di Paul Schrader ci sono sempre rappresentazioni di inferno, purgatorio e paradiso. Il primo di solito è il terribile passato da dimenticare, il secondo la condizione vissuta dal protagonista, il terzo è un lampo, magari una scena, che suggerisce cosa ci potrebbe essere domani (chi ha visto Il collezionista di carte ricorda una scena dall’alto in un giardino buio illuminato solo da led).