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Undici anni dopo Terraferma, presentato al Lido appunto nel 2011, Emanuele Crialese ha portato a Venezia L’immensità, il suo nuovo film, nelle sale dal 15 settembre. Una storia autobiografica che ha sorpreso i più e commosso tutti.
Al centro c’è una ragazzina Adriana che si fa chiamare Adri (la debuttante Luana Giuliani) e che sente di essere nata nel corpo sbagliato. Di essere, nonostante le apparenze, un maschio o, se questo non è concepibile – siamo negli anni Settanta, lontano anni luce dai discorsi sull’appartenenza di genere e la fluidità sessuale – di venire da un altro pianeta.
Si tratta, quindi, solo di ritrovare i suoi “simili”. Ed è per quello la vediamo nella prima scena del film, disegnare simboli con una corda da stendere sul tetto del palazzo, guardare verso il cielo e chiedere: “Un segno, datemi un segno”. Oppure chiudersi nell’armadio insieme al fratello e alla sorellina per quelle che lei chiama “prove di coraggio”, perché, spiega “quando arriveranno a prenderci dovremo essere pronti”.
“Quella bambina ero io”, ha detto il regista al festival, ma ha spiegato anche che il suo film parla di “migrazioni di anime”, non solo di transizione. E ha aggiunto: “Per favore, non definite il mio film un coming out”.
Crialese ha ragione. Anche perché al centro della storia non c’è solo Adriana/Adri ma anche una madre e gli altri suoi due bambini, tutti in trappola, anche se ognuno in maniera diversa.
Angelo R. Turetta