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Marilyn Monroe non è Norma Jean Baker, non ha niente a che vedere con la vera identità della donna che l’ha interpretata. Marilyn Monroe è un prodotto dell’industria dello spettacolo, una costruzione sociale e industriale portata avanti dal sistema attraverso continue piccole ricompense per l’attrice. La società maschile l’ha creata e incastrata in quel personaggio, impedendole di uscire, perché Marilyn Monroe è un prodotto creato ad uso e consumo delle fantasie maschili, una parte della società così potente e spietata di fronte al desiderio e al successo economico da schiacciare chiunque.
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Questa è la lettura che Andrew Dominik dà della sfortunata vita della donna che si fece chiamare Marilyn Monroe, continuamente vessata da più parti in un film che inizia con lei bambina e con i traumi di una madre instabile, per finire con la sua morte come i film biografici classici. Tutto Blonde è un campionario di abusi che una donna può subire, da quelli psicologici a quelli più legati al gender fino ovviamente a quelli sessuali e legati alla maternità. Non manca niente per raccontare il declino e la distruzione di un essere umano.
Tutto è basato sul romanzo omonimo di Joyce Carol Oates e non risparmia dettagli e momenti duri. Anzi. Con una struttura che mescola sogni oscuri, fantasie e realtà il film sì può permettere di mostrare anche fatti riguardo i quali non esistono prove, perché non sappiamo mai quanto siano frutto di alcol, droghe o problemi mentali. Anche visivamente è così preciso Andrew Dominic da costruire il suo film su un assunto: che le due identità (Norma Jean e Marilyn) siano distinte anche formalmente. Il film è a colori quando racconta Norma Jean ed è in bianco e nero quando lei si sente o viene trattata come Marilyn.