Questo articolo è stato pubblicato da questo sito
Che cosa significa perdere di colpo la propria casa? Come si fa a credere nel futuro e portare avanti una famiglia o una vita dignitosa quando hai la sensazione che ti stiano portando via tutto? Si concentra su questo il dramma On the fringe presentato in anteprima alla 79 Mostra d’arte cinematografica di Venezia. È l’opera prima dell’attore argentino naturalizzato spagnolo Juan Diego Botto, classe ’75, visto in The Suicide Squad e nelle serie Good Behaviour e White Lines. Stavolta passa dietro la cinepresa e firma un film disperato, ma non disperante, sul fenomeno degli sfratti in Spagna. Si ritaglia anche un ruolo come marito di Penelope Cruz, reinventatosi operaio dopo un licenziamento. Un uomo che non riesce a condurre una vita serena, neanche a livello di coppia. «Ogni tanto mi dimentico che ho anche interpretato questo film, oltre a girarlo», scherza lui. Poi si fa serio: «Volevo raccontare come le condizioni economiche sfavorevoli possano non solo influenzare ma aprire squarci di crisi all’interno delle relazioni, con i partner, con i figli, con i familiari, persino con gli amici. La tensione, lo stress, le preoccupazioni diventano così grandi che è impossibile portare avanti una quotidianità fondata sull’armonia. Il mio personaggio sa bene che ha delle responsabilità, ma le litigate con sua moglie sono fortissime perché non sa come affrontare tutto quello che gli piove brutalmente addosso. Magari non è un campione nel risolvere la situazione – mentre sua moglie si muove, parla con gli avvocati, protesta contro lo sfratto – ma fa quel che può. Di sicuro ama sua moglie e se non avessero il problema dello sfratto sarebbero una coppia bellissima, ma la realtà che si trovano a vivere è ben diversa». Il cinema, per lui, serve a sollevare questioni: «Vorrei che il film chiedesse in qualche modo al pubblico qualcosa tipo “Che cosa fareste nella stessa situazione? Come riuscireste a sopportare quell’insostenibile livello di stress?”». È anche un progetto sull’importanza della solidarietà, sull’aiutarsi reciprocamente, sul sostenersi “ai margini”, proprio come suggerisce il titolo del film. Sull’importanza di manifestare non solo per tutelare i propri diritti, ma soprattutto quelli degli altri. «È un film che mi ha colpito molto, e mi ha fatto pensare quanto abbiamo bisogno dell’aiuto di chi ci sta accanto nel momento delle difficoltà», aggiunge Penelope Cruz, che interpreta un personaggio all’opposto della madre – ugualmente depressa, ma per altri motivi – de L’immensità di Emanuele Crialese. Qui ha un volto per lo più struccato, capelli corti spesso arruffati, un piumino che la ripara dal freddo, ma non dal terrore di perdere la propria casa, di vedere suo figlio in mezzo alla strada e smarrire per sempre quelle poche certezze su cui ha costruito la sua vita.
C’è poi il talentuoso Luis Tosar, già applaudito in Cella 211 (recuperabile su Prime Video), che veste i panni di un avvocato sensibile ed empatico, capace di trascurare tutto (specie la sua famiglia) per aiutare concretamente le persone più svantaggiate, come una donna araba che lavora tanto, ma clandestinamente, e rischia di perdere la sua bambina. «Tutti viviamo difficoltà, anche noi attori – dice Tosar – È un lavoro pieno di incertezze, l’ho provato sulla mia pelle, sono diventato padre e non ho trovato soldi sul mio conto in banca. È importante raccontare i problemi quotidiani della gente, perché la gente siamo noi e serve empatizzare, aiutarci, comprenderci per andare avanti e film come questo sono doppiamente importanti». Dirigendo il suo ottimo cast, Botto racconta spaccati di vita reale con uno stile sobrio, asciutto, portando sullo schermo una giornata molto complicata vissuta da personaggi diversi, messi di fronte alla drastica realtà dello sfratto e costrette, loro malgrado, a dover agire e reagire. Oppure soccombere, come finisce per fare un personaggio drammatico di nome Teodora, madre anziana dimenticata che non riesce a mettersi in contatto con suo figlio.