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Insieme formano il club di mezzanotte, riunendosi a notte fonda per raccontarsi storie dell’orrore che sono rielaborazioni dei propri traumi, timori e sogni. Il percorso per raggiungere il salone e quello che conduce ai luoghi remoti utilizzati dal culto è un labirinto di corridoi bui e pieni di ombre, dalle cui pareti si staccano fantasmi e creature spaventose (non a caso la serie ha battuto il record di 21 jumpscare con il solo primo episodio). Come in Mr Harrigan’s Phone, uscito solo un paio di giorni prima di The Midnight Club, l’orrore soprannaturale che aleggia sulla narrazione è soggettivo: forse quelle apparizioni non esistono, forse sono solo le ombre che si stagliano sui muri a cui la mente dà forma – la forma della paura di morire. The Midnight Club ha una qualità kinghiana, lugubre ma anche affascinante, calorosa e familiare. Si rifà anche al genere teen horror letterario classico, ma lo fa toccando l’argomento adulto, più grande, per eccellenza.
È francamente devastante starsene a guardare una manciata di ragazzini affrontare la malattia e la morte, consapevoli che verranno decimati, covando il sogno impossibile della guarigione, sprofondando nella rassegnazione, lottando con le unghie e con i denti per un giorno in più. The Midnight Club è anche un monito: ricorda che anche l’individuo più razionale cede alle promesse di salvezza dei metodi più infondati e non convenzionali quando il dolore, la paura e la morte incalzano. Memento mori spietato e rassicurante al contempo, The Midnight Club è una via crucis in dieci tappe – dieci sono infatti gli episodi che compongono la serie – un manuale sulla morte, su come conviverci e come farsela amica.