giovedì, Giugno 8, 2023

Instagram e Pinterest, i contenuti delle piattaforme hanno contribuito alla morte di un'adolescente britannica

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Ian Russell era ancora scosso quando nel 2017 si sedette davanti al computer di famiglia. Sua figlia Molly, di 14 anni, era appena morta a causa di un atto di autolesionismo e Russell era alla ricerca di risposte. Scorrendo la casella di posta elettronica di Molly, credeva di averle trovate. Due settimane prima della sua morte, l’adolescente britannica aveva ricevuto un’email da Pinterest: “Pin sulla depressione che potrebbero piacerti”, recitava il messaggio, che includeva anche l’immagine di un rasoio insanguinato. Anche Instagram stava aiutando Molly a scoprire nuovi contenuti sulla depressione: nei sei mesi precedenti alla sua morte l’adolescente aveva condiviso, messo mi piace o salvato più di duemila post relativi a suicidio, autolesionismo e depressione sulla piattaforma. 

Il 30 settembre il medico legale Andrew Walker ha concluso che non è corretto affermare che Molly Russell sia morta per suicidio, sottolineando che i post su Instagram e Pinterest hanno contribuito alla sua morte: “È morta per un atto di autolesionismo mentre soffriva di depressione e degli effetti negativi dei contenuti online, ha dichiarato Walker.

Processo a Instagram e Pinterest

Nel Regno Unito quasi due terzi dei bambini di età compresa tra i 3 e i 15 anni utilizzano i social media. Nella fascia tra gli 8 e i 15 anni un terzo ha visualizzato contenuti preoccupanti o traumatizzanti negli ultimi 12 mesi, secondo un rapporto del 2022 dell’ente britannico di regolamentazione dei media Ofcom. Gli attivisti per la protezione dell’infanzia affermano che i post che mostrano autti di autolesionismo continuano a essere disponibili, anche se oggi sono più difficili da trovare rispetto al 2017.

Quello di Molly Russell è considerato il primo caso in cui le aziende di social media siano diventate parti in causa nell’ambito del procedimento che ha stabilito un legato tra i loro servizi e la morte di un minore. Secondo Merry Varney, avvocato di Leigh Day, lo studio legale che rappresenta la famiglia Russell, i contenuti ospitati dalle piattaforme in questione esaltavano l’autolesionismo e promuovevano l’idea che la depressione vada tenuta nascosta.

L’obiettivo dell’inchiesta era solo quello di determinare ufficialmente la ragione dietro la morte di Russell. Ma di fatto l’udienza di due settimane nel Regno Unito ha messo sotto processo Instagram e Pinterest. Entrambe le aziende sostengono di essere cambiate nei cinque anni successivi alla morte dell’adolescente. Ma le trasformazioni che hanno attraversato le due società, le hanno portate in direzioni diverse, che dimostrano due modelli distinti di gestione di una piattaforma di social media. Meta, che controlla Instagram, dice di voler essere un luogo in cui i giovani che hanno problemi di depressione possano cercare sostegno o chiedere aiuto. Pinterest, invece, ha iniziato a sottolineare come l’app non sia semplicemente il posto giusto per alcuni argomenti.

Due approcci diversi

Per Pinterest tra questi argomenti c’è anche l’autolesionismo: “Se un utente cerca contenuti relativi al suicidio o all’autolesionismo, non viene visualizzato alcun risultato, ma un avviso che lo indirizza a esperti in grado di aiutarlo se è in difficoltà – afferma Jud Hoffman, responsabile globale delle operazioni per la comunità di Pinterest –. Attualmente ci sono più di 25mila termini di ricerca legati all’autolesionismo nell’elenco bloccato”. Anche se concorda sul fatto che la piattaforma sia effettivamente migliorata, Varney evidenzia che non è ancora perfetta: “Le ricerche che abbiamo fatto con la famiglia di Molly suggeriscono che [ora, nda] ci sono molti meno contenuti di questo tipo su Pinterest”, dice.

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