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In tarda primavera, quando le giornate iniziano ad allungarsi, i cervi mulo (Odocoileus hemionus) del Wyoming centrale iniziano ad andare alla ricerca dell’artemisia tridentata. Gli animali si fermano per l’inverno nelle basse pianure dello stato americano, dove spuntano i primi germogli verdi, che offrono una quantità di cibo scarsa ma ricca di proteine e facilmente digeribile. Questi teneri germogli scompaiono rapidamente, ma i fiori continuano a spostarsi, risalendo verso l’alto quando il calore primaverile raggiunge i climi più rigidi. Quando questa “onda verde” di vegetazione sale, i cervi mulo la inseguono. A volte i mammiferi viaggiano per centinaia di chilometri, fino a che non raggiungono le catene montuose dove trascorrono l’estate. Idealmente, il loro viaggio è programmato in modo perfetto, per fare in modo di immagazzinare abbastanza grasso sulle zampe per superare l’estate e l’inverno.
Negli ultimi anni, però, almeno per un gruppo di cervi mulo seguire quest’onda verde è diventato più difficile. Gli animali partono quando inizia a spuntare la prima vegetazione, ma poi il loro viaggio si arresta. Il colpevole, secondo una ricerca pubblicata la scorsa settimana su Nature Ecology and Evolution, è l’umanità. Nello specifico, realizzazione di due giacimenti di gas naturale lungo il percorso dei cervi, che ha comportato un insieme di attività molto rumorose, tra cui trivellazioni, esplosioni e movimenti di camion. Anche se gli animali hanno trascorso solo poco tempo in prossimità delle trivelle, i ricercatori hanno scoperto che le operazioni hanno avuto enormi ripercussioni sul loro passaggio primaverile, che si dovrebbe tradurre in meno grasso, meno cuccioli e una maggiore mortalità.
Lo studio
A sorprendere i ricercatori è stata la difficoltà di adattamento dei cervi. Nonostante l’idea comune secondo cui i disagi causati dall’estrazione di petrolio e gas diminuiscano dopo il frastuono iniziale dovuto all’esplorazione e alla perforazione, i cervi sembravano essere disturbati anche dalle attività seguenti e apparentemente avevano difficoltà a scegliere un percorso migliore per aggirare i nuovi ostacoli. Per le loro migrazioni, gli animali continuavano a seguire il percorso ideale che avevano memorizzato. “Sono sensibili – spiega Ellen Aikens, ecologista presso la South Dakota cooperative fish and wildlife research unit, che ha condotto lo studio –. Non sono così flessibili quando devono decidere dove andare“.
Lo studio ha esaminato gli spostamenti individuali di decine di cervi mulo che erano stati catturati nel corso degli anni con fucili a rete montati su degli elicotteri, trasportati in un luogo diverso e sui quali erano stati installati dei collari gps. “Non è un’impresa da poco mettere un collare a un animale“, racconta Teal Wyckoff, coautrice dello studio, e che ora lavora per la no-profit Nature conservancy. L’obiettivo, spiega Wyckoff, era quello di far luce sui movimenti di popolazioni che erano rimaste imperscrutabili per i ricercatori, in un’area in cui prevedevano un rapido boom del settore energetico. Il progetto di monitoraggio è iniziato nel 2005, nel momento in cui le aziende si stavano riversando nel Wyoming per estrarre metano dai giacimenti di carbone della regione.