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Cosa contiene il Pnacc
Nelle circa 400 pagine del Piano sono descritti “una base comune di dati, informazioni e metodologie di analisi” come spiega Spano.
In particolare, il Pnacc individua quattro obiettivi: contenere la vulnerabilità dei sistemi naturali, sociali ed economici agli impatti dei cambiamenti climatici; incrementare la loro capacità di adattamento; migliorare lo sfruttamento delle eventuali opportunità; favorire il coordinamento delle azioni ai diversi livelli di governance.
Nello specifico, come spiega l’advisor del Cmcc, il Pnacc identifica 6 macroregioni climatiche in Italia e crea due proiezioni climatiche diverse (lo scenario intermedio e quello più estremo) basate sulle stime del quinto rapporto dell’Ipcc. Il piano scende anche nel dettaglio, fino ad un’analisi provincia per provincia e dei rischi per i 18 settori già individuati dallo Snac. “Nel Piano si propone anche un sistema di monitoraggio delle azioni efficaci a scala locale e l’istituzione di una cabina di regia per il monitoraggio del Piano stesso, al fine di garantire un controllo a livello centrale che garantisca la standardizzazione delle informazioni, l’omogeneità degli approcci e il supporto ai territori per l’attuazione delle azioni di adattamento”, dice Spano.
Perché si è bloccato
Ma allora perché uno strumento che in questi cinque anni, tanto per fare qualche esempio, poteva essere utile a prepararsi più efficacemente per affrontare la tempesta Vaia (Trentino, 2018), le alluvioni in Liguria (2019) o in Piemonte e Sardegna (2020) o ancora a quelle di settembre scorso tra Marche ed Umbria? La solita, maledetta, burocrazia.
Per farla breve, nonostante l’iter dettagliato sia stato più lungo e complesso, la Conferenza Stato-Regioni decise nel 2018 di sottoporre il Pancc alla Valutazione ambientale strategica (Vas). Da lì si è arrivati al parere della sottocommissione Vas commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale – Via e Vas del maggio del 2021. Cos’ha deciso? “Di suggerire una serie di approfondimenti e integrazioni a cui il Pnacc è attualmente sottoposto per poter essere approvato”, spiega ancora Spano. E pensare che il Pnacc aveva previsto azioni con l’obiettivo di migliorare parametri utilissimi per aumentare la resilienza dei territori: “La conoscenza delle criticità geologiche e idrauliche del territorio e dei rischi ad essi associati, migliorare i modelli per la simulazione e la previsione degli impatti su differenti orizzonti temporali, migliorare il monitoraggio del territorio per la produzione di basi dati aggiornate, migliorare la gestione delle emergenze da parte delle amministrazioni a tutti i livelli e aumento della partecipazione della popolazione, migliorare la gestione e la manutenzione del territorio, migliorare la conoscenza dello stato dei manufatti e delle infrastrutture per aumentarne la resilienza”. Insomma, molte azioni importanti per gestire meglio l’impatto degli eventi meteorologici estremi che hanno colpito l’Italia anche in questi ultimi cinque anni. Nessuno mette in dubbio l’utilità delle verifiche tecniche ma se tanto per fare qualche esempio la Spagna ha adottato il suo piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici nel 2020 e la Francia nel 2017, essere arrivati quasi al 2023 ed avere perso un lustro è davvero un peccato.
Perché ci serve presto il Pnacc
Lo spiega perché lo stesso Cmcc nel report del 2020 Analisi del rischio – I cambiamenti climatici in Italia: la probabilità del rischio da eventi climatici estremi è aumentata in Italia del 9% negli ultimi vent’anni. Oggi circa il 90% dei comuni italiani è a rischio per frane e alluvioni, e oltre sette milioni di italiani vivono o lavorano in aree considerate “ad alta pericolosità”. Come spesso accade purtroppo, il Sud è messo peggio del Nord.