mercoledì, Settembre 27, 2023

Il colibrì è un film che ci riporta a 40 anni fa

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Il problema principale di Il colibrì infatti è la maniera in cui a fronte di una struttura che mira a sparigliare le carte, stupire e in un certo senso innovare (cioè appiattire tutti i tempi e raccontare gli anni ‘70 della vita del protagonista attaccati ai ‘90 e poi collegati ad una scena nei 2000 e di nuovo poi ai ‘70) si rivela con uno scheletro e uno stile molto vetusti, per non dire proprio convenzionali per il nostro cinema. È il dramma borghese come è stato fondato negli anni ‘60 e si è sviluppato nei ‘70, da lì diventando un punto fermo del film d’autore italiano. Famiglie che si sfasciano, emozioni represse, strati di ipocrisia, incapacità a vivere le proprie passioni a pieno e con sincerità sentimentale sono gli ingredienti, sguardi nel vuoto sono le modalità espressive, affiancamento di personaggi di grande ira e passionalità ad altri più gelidi la soluzione preferita. Su tutto incombe un’aria di biasimo per queste tipologie umane e quel mondo.

Grandi scenari, grandi case, perbenismo un po’ provinciale e il personaggio che non manca mai, quello più sensibile di altri che quasi riconoscendo questo inferno dei sentimenti non resiste e tenta il suicidio. A tutti gli effetti Il colibrì, anche per le caratterizzazioni in certi casi grossolane e pleonastiche, è un film uscito dal nostro passato. E non da quello migliore. Visto oggi suona totalmente fuori dal tempo, esso stesso immobile come il personaggio che racconta e per definire il quale non potrà evitare di far pronunciare a qualcuno ad alta voce la frase: “Metti tutta la tua energia per restare dove sei. Proprio come un colibrì”, in modo che sia ben chiaro a tutti quale sia il tema del film, qualora non si capisse.

Inoltre, a fronte poi di una produzione e realizzazione ovviamente di ottimo livello non solo nel comparto di recitazione, in cui Pierfrancesco Favino fa i soliti straordinari (anche se stavolta non è ben chiaro che tipo di accento abbia e come mai parli in quella maniera), Berenice Bejo si divincola con un personaggio non proprio a fuoco, a Kasia Smutniak tocca in sorte il carattere più insidioso da rendere (quello più espressivo e dai toni più forti e non lo rende proprio benissimo) e infine Nanni Moretti è come sempre stranamente a suo agio nei panni di un analista (serafico, fuori da tutto e per questo poi in modi così imperscrutabili dentro al film, come un alieno a proprio agio), alla fine questo non impedisce al film di trovare momenti ampiamente ridicoli. Una scena con Favino che si dispera grottescamente dentro un’Ape Piaggio con musica drammaticissima insistente entra dritta al primo posto dei momenti più allucinanti del cinema italiano del 2022. Sperando che non arrivi qualcosa di peggio a batterla.

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