venerdì, Aprile 19, 2024

Il ruolo del paracetamolo nella pandemia, tra cattiva comunicazione e fake news

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Nell’ultimo anno e mezzo si è sviluppato un animato dibattito sul ruolo del paracetamolo nelle terapie di pazienti con Covid 19. Per questo Angelini pharma, azienda che produce e commercializza il paracetamolo, il principio attivo contenuto nei farmaci utilizzati per abbassare la febbre e ridurre il dolore, ha organizzato presso la Sala dei Milanesi della Fabbrica del Duomo di Milano un Media Tutorial sul tema “Appropriatezza clinica nella gestione del paziente covid: paracetamolo tra disinformazione e fake news”.

Per “appropriatezza clinica” si intende la valutazione medica dell’efficacia del trattamento rispetto al bisogno clinico di ogni singolo paziente, con riferimento alla gravità del manifestarsi della patologia e alla possibilità di guarigione. Il dibattito, affrontato da medici e accademici, si è soffermato da un lato, sulla comprensione delle varie fasi della malattia che può aiutare ad attuare le terapie disponibili in maniera efficace e gestire attentamente i singoli casi con un monitoraggio attento dei pazienti per prevenire il ricorso al ricovero in ospedale, dall’altro ha analizzato come la pandemia abbia certificato il ruolo crescente della comunicazione nella vita delle persone testando l’efficacia di un’informazione multimediale e multicanale.

L’avvento del Covid, inoltre, ha anche dimostrato che una cattiva comunicazione può influire anche sulle Istituzioni e sui media tradizionali. Da qui la necessità di riportare il dibattito nel più appropriato ambito scientifico, attraverso figure autorevoli e competenti, che garantiscano sull’affidabilità e sulla qualità delle notizie che veicolano. In questo contesto, si inserisce anche il dibattito sul ruolo del paracetamolo, analgesico e antipiretico conosciuto con il nome commerciale di “Tachipirina” e raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, utilizzato da centinaia di milioni di pazienti nel mondo, il cui profilo di sicurezza ed efficacia è stato confermato nei decenni da numerosissimi studi clinici, alcuni dei quali, recentemente, lo hanno legittimato come trattamento sintomatico del dolore e della febbre nei pazienti con infezione da SARS-CoV-2.

Il tema del dosaggio

Il paracetamolo, all’inizio della pandemia, si è trovato sotto i riflettori nei primi momenti dell’emergenza. Per molti medici si è trattato, in un certo senso, di un’ancora a cui aggrapparsi quando non si conoscevano ancora le caratteristiche del coronavirus e della malattia che comportava. Uno dei tanti temi di dibattito legati al paracetamolo è stato quello secondo cui un sovradosaggio avrebbe potuto comportare rischi per la salute. Francesco Scaglione, professore ordinario di farmacologia presso l’Università degli Studi di Milano, ha puntualizzato che la questione è molto più complessa. In alcuni casi, infatti, sono state riportate dai media delle dichiarazioni che mettevano in discussione la sicurezza del paracetamolo, sottolineando alcuni effetti avversi del farmarco. In particolare, il riferimento è alla relazione tra un alto dosaggio di paracetamolo con una riduzione dei livelli di glutatione, un’enzima che agisce come antiossidante. “Il paracetamolo – ha spiegato Scaglione – può essere indicato come il farmaco che più di tutti viene indicato dalle linee guida che trattano di febbre o dolori, e questo vale dal dal neonato al centenario. Se dobbiamo discutere su un’eventuale tossicità, dobbiamo dire che si tratta di uno dei farmaci più tollerabili. Potrebbe essere considerato tossico per impieghi accidentali o impieghi a scopo suicidario di dosi elevatissime. Tutti gli studi hanno stabilito che se ci si mantiene in dosaggi di 3 grammi per adulto, non succede nulla. Secondo alcuni studi la dose tossica di paracetamolo sarebbe tossica addirittura di 20 grammi al giorno, ovvero sette volte la dose consigliata. Insomma, non ci sono i presupposti per parlare di tossicità a meno che non si faccia riferimento ad alcuni soggetti  come per esempio gli alcolisti o soggetti che assumono farmaci specifici come alcuni antiepilettici”.

La “vigile attesa”

Altro tema spinoso nelle fasi più calde della pandemia è stato quello della “vigile attesa”, spesso abbinata proprio al paracetamolo nelle direttive diramate dal Ministero della Salute per l’approccio al trattamento dei pazienti Covid. “Mi ha dato fastidio – ha proseguito Scaglione – del fatto che molti abbiano ironizzato sulla vigile attesa. Non c’è nulla di strano. Vigile attesa significa che, quando si tratta un paziente, si seguono gli sviluppi dell’evoluzione clinica per poter intervenire. “Su un paziente cronico la mia arma migliore è proprio la vigile attesa – fa eco il professor Ovidio Brignolisignifica che il paziente racconta ogni quello che gli succede per permettere al medico di rispondere in qualche modo al problema. Noi ci siamo rigorosamente attenuti al concetto che utilizzare i farmaci come il paracetamolo e vigilare attentamente i pazienti era importante. Vigilare attentamente significa soprattutto visitare il paziente per capire guardandolo, e mi preme ricordarlo perché sono state create anche delle Usca per medici che non andavano a visitare i pazienti. Invece è fondamentale raccogliere le idee, cercare di capire a che punto è la malattia, cercare di fare una valutazione dei rischi e capire conoscendo la storia del paziente, che farmaci utilizza e le precedenti vaccinazioni e sulla base di tutto questo decidere il percorso di cura: questo significa vigile attesa”.

Empiria e personalizzazione

Durante la primavera del 2020 molti ospedali hanno dovuto affrontare il problema della gestione della febbre in Pronto Soccorso con i pazienti che si presentavano con una diagnosi magari ancora poco chiare. Francesco Franceschi, Professore Ordinario di Medicina Interna dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ha riassunto le modalità con cui ha gestito l’emergenza in due parole chiave: “Empiria” e “personalizzazione”.  “Sembrano due termini in contrapposizione l’uno con l’altro ma in realtà sono l’esatta conseguenza – ha spiegato -, perché noi ci siamo trovati di fronte a una malattia che nessuno conosceva e soprattutto una diffusione pandemica non si era mai registrata per un coronavirus. Non avevamo inizialmente un metodo diagnostico rapido poi abbiamo iniziato a capire che la TAC l’ecografia ci permettevano quantomeno di individuare il paziente Covid, poi sono arrivati i tamponi sempre più rapidi. Empiria e personalizzazione vanno di pari passo perché là dove non c’è una terapia certa se non il paracetamolo, bisogna trattare singolarmente i pazienti, caso per caso. Inizialmente addirittura si era detto che questi pazienti non dovevano essere trattati con antinfiammatori non steroidei, proprio recentemente abbiamo condotto uno studio proprio volto a individuare quale sia la migliore terapia antipiretica sulla febbre, ma non solo, includendo anche i pazienti covid positivi: il farmaco più somministrato è stato il paracetamolo” .

Il ruolo del paracetamolo

Michela Procaccini, Medical Department Director di Angelini Pharma, ha concluso il dibattito sottolineando come il paracetamolo sia finito impropriamente al centro della discussione dei media: “Non parlerei di qualcosa che non ha funzionato al livello comunicativo – ha precisato – sono stati momenti concitati che hanno coinvolto tutti, e anche noi, da un punto di vista emotivo. Abbiamo ritrovato il nostro paracetamolo all’interno di questo vortice, affiancato alla direttiva “paracetamolo e vigile attesa” ma soprattutto poi ci siamo trovati all’interno di una contrapposizione che nei fatti non c’è mai stata: quella di scegliere tra il paracetamolo o l’ibuprofene o un altro fans, cosa che nel protocollo ministeriale né in nessuna linea guida è assolutamente presente. Tuttavia ciò rientra in quel concetto di personalizzazione della cura che ogni medico è tenuto a fare, visitando il paziente nella sua complessità”.

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