lunedì, Giugno 5, 2023

Startup, cosa chiedono al governo Meloni

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A tracciare un bilancio dei primi dieci anni di Startup Act, la legge varata il 18 ottobre 2012 che ha messo in piedi il registro per le startup, rendendo il Paese competitivo nel campo dell’innovazione (solo nel primo semestre del 2022, sono stati raggiunti investimenti di oltre 1 miliardo di euro), c’era un grande assente: le istituzioni. In sala e nella scaletta degli interventi nessun esponente del governo Meloni, sedie vuote che non sono passate inosservate e che soprattutto preoccupano il comparto più vivace dell’economia italiana. 

Un’assenza fatta subito notare da Giorgio Ciron, direttore di InnovUp, associazione capofila di tutte le anime del variegato ecosistema dell’innovazione italiano, che ha organizzato l’evento 10 anni di Startup Act all’auditorium della Pontificia Università Lateranense di Roma, una giornata di confronto a cui hanno preso parte abilitatori, investitori, aziende, scale up e corporate. “È un’assenza che a noi dispiace tanto – ha spiegato – perché oggi siamo qui a parlare di una cosa importante: di posti di lavoro. Perché le startup e le aziende ai primi cinque anni di vita sono oggi le realtà che più creano occupazione in Italia”. Un’assenza fatta notare anche Luciano Floridi, professore di Filosofia ed etica dell’informazione all’Università di Oxford, all’inizio del suo illuminante intervento: “Dispiace non avere la presenza delle istituzioni, non capisco come sia possibile che in Italia non esista ancora un ministero del Digitale; un tempo il digitale era considerato la ciliegina sulla torta, oggi è la torta”.

Nel 2012 la legge che ha aperto le porte all’innovazione in Italia. Corrado Passera e Paolo Barberis ricordano quei giorni. La nuova sfida è far crescere il venture capital. Per Wired il Vem ha selezionato la top ten delle startup con il maggior fundraising in Italia

Le startup in Italia, una crescita esponenziale

Nel 2012 le realtà iscritte al registro poche centinaia, oggi sono più di 14mila, una crescita esponenziale raccontata nell’intervento di apertura dal padre della legge e grande guru delle startup italiane, l’ex ministro dello Sviluppo economico del governo Monti, Corrado Passera: “La normativa nacque da un percorso di ascolto e di studio. Iniziammo con il coinvolgere tutti gli aventi interesse, con quella comunità di innovatori che volevano operare al meglio; li mettemmo in rete. Poi mandammo in giro per il mondo un gruppo di persone che stilò un rapporto dove mostrò le migliori idee che venivano dalle migliori esperienze internazionali. Mi dissero che se fossimo riusciti a fare solo la metà avremmo avuto un grande successo, ma poi ci chiedemmo: perché farne solo la metà se possiamo farle tutte? Iniziammo quindi ad apportare i cambiamenti che sarebbero serviti per allineare la normativa sul tema del lavoro e dello sviluppo”

Un’iniziativa che all’inizio del percorso non tutti capirono, perché presagiva un cambio di declinazione rispetto a quello che era il tessuto economico del Paese. “Secondo molti interlocutori – ha spiegato ancora Passera – bisognava mantenere lo stigma del fallimento, quindi ci battemmo perché l’idea di punire il fallimento è proprio il contrario dell’idea della startup. Con il passare del tempo la serietà del lavoro che svolgemmo creò un grande consenso intorno alla legge, che ci consentì di approvarla pur essendo il governo dimissionario”.

Corrado Passera e Vittorio Colao al convegno di H-Farm sulle startup

Servono strumenti per farle crescere, veicoli di investimento, regole più flessibili e una formazione ad hoc. Alcune proposte da chi ha contribuito a scrivere la prima legge sulle imprese innovative

Le richieste alle istituzioni

Una buona legge che fortunatamente i governi successivi non stravolsero, ma arricchirono con modifiche in linea con la sua filosofia. Oggi le startup chiedono che venga colmato il divario strutturale con i principali Paesi europei, che venga attualizzato e semplificato il quadro normativo esistente, che aumentino gli incentivi fiscali, che siano messe a sistema le agevolazioni per gli investitori e che si attuino politiche in grado di attrarre talenti e incentivare l’imprenditoria femminile. “Quello del venture capital – ha concluso l’ex ministro – è un tema da spingere per far passare le startup a scaleup. Dobbiamo essere ‘spingitori culturali’ per i giovani perché ad oggi non ci sono percorsi universitari degni di nota. In gioco non c’è solo non un segmento di un’economia, ma il futuro”

L’idea alla base è quella di arrivare ad un manifesto condiviso che sappia guardare ai prossimi dieci anni nell’ottica di agevolare e supportare le startup aumentando la competitività della filiera, snellendo gli adempimenti burocratici, superando l’attuale stratificazione normativa e favorendo l’internazionalizzazione di startup, pmi e centri di innovazione

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