martedì, Aprile 16, 2024

Troll poteva essere qualcosa di più, ma ci accontentiamo

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Troll di Roar Uthaug è la dimostrazione che Netflix, con tutto il male di cui molti possono dirne, ha però soprattutto un grande, immenso pregio: permette una vetrina tutt’altro che secondaria a film di genere e a tutta una schiera di progetti creativi che altrimenti resterebbero costantemente dietro il sipario. Questa sorta di mix tra fantasy, fantascienza e horror, questo monster movie in salsa norvegese è uno dei perfetti esempi di questo modus operandi, al netto di un risultato senza ombra di dubbio meritevole di attenzione, non fosse altro per la volontà di rinnovare un genere che può ancora dare molto al pubblico. Al netto di qualche difetto che si poteva evitare, Troll è senza ombra di dubbio un gustoso prodotto di intrattenimento, un virtuoso tentativo di avere un mix tra la spettacolarità d’oltreoceano e la genuinità artigianale Europea.

Un antica creatura risvegliata dall’uomo

Tempi oscuri e  imprevedibili nel lontano Nord, in quella Norvegia che tutti conosciamo come esempio di perfetta e fredda efficienza futuristica, per quanto per non manchino problematicità circa il rapporto tra uomo e ambiente, come testimoniato da un discusso e controverso progetto per costruire un tunnel dentro una montagna. Tuttavia i lavori avranno un esito a dir poco imprevedibile visto che risveglieranno una colossale e portentosa creatura: un Troll per l’appunto, che fino a quel momento si pensava essere legato ai miti e al folklore del lontano passato norreno. O meglio tutti lo pensavano a parte il vecchio ed ostinato Tobias Tidemann (Gard B. Eidsvold) che ha sempre spiegato alla figlia Nora (Ine Marie Wilmann) che invece quelle gigantesche creature esistono eccome e sono molto diverse da come l’umanità le ha dipinte per molti secoli. Divisi da anni a causa dello stile di vita sempre più strambo e da complottista estremo del padre, Tobias e la figlia Nora (diventata una stimata paleobotanica) saranno infine riuniti per aiutare il governo e le Forze Speciali comandate dal Capitano Kristoffer Holm (Mads Sjøgård Pettersen) su cosa fare con quella colossale creatura. 

Il 61° Classico è una spettacolare avventura visiva di meravigliosa concezione, con un bel messaggio ambientalista a cui però mancano personaggi memorabili

Il Troll risvegliato infatti appare sostanzialmente invulnerabile alle armi convenzionali e come se non bastasse, sta puntando dritto su Oslo, seminando al suo passaggio distruzione e panico tra la popolazione e attirando su di sé gli occhi di tutto il mondo. Tuttavia allo stesso tempo il colossale essere dimostra un comportamento molto difficile da valutare, tra estrema aggressività quando aggredito e il palesarsi di una certa empatia rispetto a chi non costituisce un pericolo. Che fare dunque? Preservare quello che è a tutti gli effetti un mostro gigantesco ma unico nel suo genere oppure abbatterlo per evitare che distrugga il nostro stile di vita? 
Troll si muove fin dall’inizio seguendo un iter narrativo che per struttura e caratteristiche non differisce poi molto dal classico monster-disaster movie americano, di quelli che abbiamo visto per decenni affollare le nostre sale cinematografiche mietendo miliardi. Tuttavia, al netto di una sceneggiatura dello stesso Roar Uthaug e di Espen Aukan non poi così particolarmente creativa, ha più di qualche carta da giocarsi, a partire da una dimensione visiva assolutamente spettacolare, che forse avrebbe meritato anche la sala. Peccato però che sul più bello ceda alla semplificazione diegetica, si accontenti di essere un’opera derivativa. 

La metafora di un pianeta che ci rifiuta

Troll porta la firma di un regista atipico come Uthaug, che ha fatto della volontà di ripescare a piene mani dal  meglio della Hollywood spettacolare che fu a piene mani una ragione di vita. Ama mescolare ed unire generi e stili, come testimoniato dai suoi lavori precedenti come Fritt Vilt, Magis Silver, The Wave e soprattutto il remake di Tomb Raider, che però ha avuto meno fortuna di quanto ci si aspettasse. Bene o male Troll sembra avere le stesse qualità e gli stessi difetti, perché ad un inizio sicuramente interessante, ad una autoironia gradevolissima, a mano mano che si va avanti accompagna poi tutta una serie di cliché che sanno di già visto e già sentito da un miglio di distanza. Ed è un peccato, perché il regista norvegese ha mano, talento, concepisce scene d’azione di non indifferente e creatività, ma rimane alla fin fine forse un po’ troppo prigioniero della sua stessa creatura, quasi indeciso su quale strada percorrere.  
Il film tuttavia, al netto di tutto questo, ci fornisce divertimento in dosi abbondanti, spettacolarità nelle scene di distruzione, strizzando l’occhio a pellicole come il mai dimenticato Cloverfield, a quelle di Gareth Edwards. Naturale che il pensiero corra ai recenti Godzilla e King Kong, e a quel nuovo universo cinematografico recente che ha riportato in auge i Kaiju di nipponica concezione, che hanno avuto in Ishiro Honda il gran cerimoniere a partire dagli anni ’50. 

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Così come in quei film e nei b-movie americani su alieni, ragni e formiche colossali che a partire dall’inizio della Guerra Fredda creavano una sorta di metafora dell’olocausto nucleare che il Giappone aveva sofferto e che ora accerchiava come un incubo il resto del globo, così questo film bene o male cerca di parlare di altro. Troll si propone in modo palese e coerente come una sorta di metafora ambientalista sul terrificante rapporto che oggigiorno sussiste tra l’uomo e il pianeta in cui vive. Come sempre capita, alla fine ci si trova a patteggiare per la bestia, per il titano, la creatura insomma, che bene o male si muove con fare devastatore ma equilibrato, ed è la voce di questo mondo che non riusciamo più ad onorare come meriterebbe. Altro elemento positivo, essa riconquista (questo va riconosciuto al film) la sua dimensione di simbolo trascendente ed universale, mitologico ed eterno, manifestazione di qualcosa di più grande della mera materia e del tempo. Serviva un po’ di coraggio in più nel delineare l’identità dell’insieme, si sarebbe potuto creare un piccolo gioiellino come fu a suo tempo Troll Hunter di André Øvredal o il recente Love & Monsters di Michael Matthews. Si spera che il preannunciato seqeul si muova verso una direzione di maggiore specificità, rinunciando ad essere un semplice epigone del cinema muscolare americano, di titoli come Jurassic Park o simili, perché tanto sempre lì va a pescare Hollywood oggi. Non ci servono copie di copie. 

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