venerdì, Settembre 29, 2023

Ascensore spaziale, c'è qualcuno che ha in mente di costruirne uno

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Stephen Cohen è un ingegnere meccanico, docente di fisica e divulgatore scientifico. E da diversi anni sta lavorando a un progetto apparentemente fantascientifico: la costruzione di un ascensore spaziale per portare del carico nell’alta atmosfera terrestre, o anche più in alto. Dove per “carico” si intende, eventualmente, anche l’essere umano: “Il trasporto di esseri umani con questo sistema – ha scritto Cohen in un pezzo pubblicato su Scientific American con i dettagli della sua idea – sarebbe più sicuro rispetto alle pratiche attuali, anche se gli astronauti dovrebbero accettare, per ogni lancio, un ‘rischio non trascurabile’ per le loro vite”. Cohen (e non solo lui: la comunità degli ascensoristi, sebbene non così nutrita, conta anche altri scienziati) si dice convintissimo che l’idea sia tutt’altro che fantascientifica, e che anzi in due o tre decenni saremo in grado di tendere il primo cavo che va dalla Terra allo Spazio.

Gli albori

Cerchiamo di capire qualcosa in più della questione. La prima idea di costruire un ascensore spaziale è tutt’altro che recente: stando a una ricostruzione della Nasa, fu lo scienziato russo Konstantin Tsiolkovsky a proporre per primo, già nel 1895, il concetto di un castello celestiale (lo chiamava proprio così) posto in orbita geostazionaria (cioè “immobile” rispetto alla superficie della Terra, ovvero, in altre parole, solidale con il movimento del nostro pianeta) e “attaccato” tramite un cavo a una torre posta sul suolo terrestre. In particolare, Tsiolkovsky calcolò che se la torre fosse stata alta circa 40 chilometri avrebbe raggiunto l’altezza di un’orbita geostazionaria e quindi un eventuale carico spinto dalla base della torre verso l’alto, o lasciato cadere dall’alto in basso, avrebbe “sfruttato” la rotazione terrestre per acquisire abbastanza velocità e rimanere in orbita geostazionaria.

Se l’idea di Tsiolkovsky sembra poco realistica oggi, figuriamoci come doveva suonare alla fine del diciannovesimo secolo. Per avere proposte più fattibili bisogna aspettare gli anni Cinquanta del secolo scorso, quando un altro ingegnere russo, Yuri Artsutanov, suggerì di usare un satellite geostazionario da cui calare, mediante appositi contrappesi, un cavo che sarebbe dovuto arrivare sulla superficie del nostro pianeta. L’idea fu oggetto di un saggio pubblicato da Artsutanov sulla Pravda nel 1960, ma non ebbe molto successo, anche perché il saggio non venne tradotto in inglese.

Sei anni più tardi quattro ingegneri statunitensi pubblicarono su Science un articolo in cui proponevano l’idea di uno Sky-Hook (uncino nel cielo), provando a prevedere le caratteristiche che avrebbe dovuto avere un cavo teso tra la Terra e lo Spazio: venne fuori che sarebbe stato necessario usare un materiale almeno due volte più resistente rispetto a quelli al momento disponibili, compresi quarzo, grafite e diamante; ancora una volta, quindi, l’idea venne accantonata. Nel 1975, poi, lo scienziato americano Jerome Pearson pubblicò su Acta Astronautica l’ennesima idea, stavolta basata sull’uso di un contrappeso che si sarebbe dovuto estendere per quasi 150mila chilometri, la metà della distanza che separa Terra e Luna: per trasportarlo in orbita sarebbero serviti diversi viaggi di andata e ritorno dello Space Shuttle

I tempi recenti

Arriviamo così a epoche più recenti: nel 2004 il fisico Brad Edwards, direttore dello Institute for Scientific Research di Freemont, in Virginia, ricevette mezzo milione di dollari dalla Nasa per perfezionare l’idea di un ascensore spaziale – e niente più del denaro è il segno di un interesse reale – e immaginò di lanciare alla quota di circa 40mila chilometri, tramite dei razzi, una sorta di “satellite ancora” che avrebbe dovuto dispiegare un nastro fatto di fibra composita di nanotubi di carbonio. Secondo il progetto, il cui costo fu stimato in circa 10 miliardi di dollari, il nastro avrebbe dovuto “oscillare” fino al suolo, dove sarebbe poi stato agganciato a una piattaforma costruita nella zona equatoriale. A quel punto, sul nastro sarebbe stato montato l’ascensore vero e proprio, una piattaforma alimentata da laser a terra e in grado di trasportare circa cinque tonnellate per volta. Problemi, al momento non ancora risolti: il costo esorbitante; la costruzione del sistema di alimentazione laser; la corrosione del nastro a opera di meteoriti, temperie e ossigeno; e, particolare non da poco, il fatto che al momento il nanotubo più lungo mai costruito è lungo circa 14 centimetri.

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