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Già questo è un inizio fantastico, funereo, comico e terribilmente intimo. Poi ci sarà ovviamente un’ultima avventura che lo richiamerà in azione con l’obiettivo di riagguantare le 9 vite e quindi tornare quello di una volta. Tuttavia quest’idea di aver perso qualcosa di interiore, di intimo e aver rivisto tutte le aspettative per la propria vita, umiliandosi come gatto domestico dopo un’esistenza di grandi avventure, imbruttito e con la barba lunga, è un concetto che il film rende benissimo (ed è bravo Antonio Banderas, che di nuovo doppia il gatto anche in italiano, a renderlo con la voce). Il Gatto Con Gli Stivali deve lottare per sfuggire alla morte che lo insegue e correre per ritrovare il suo spirito. Questo mood avventuroso è senza dubbio la cosa più bella, la più suggestiva e più caratteristica, è ciò che dà personalità al film.
Il Gatto con una serie di aiutanti, nuovi personaggi, rivali e cattivi finirà nell’ennesimo “mondo altro”, cioè quei luoghi che i personaggi scoprono con noi, tutti da esplorare, lussuriosi, misteriosi, pieni di insidie e creature assurde. Sono soluzioni narrative e visive che popolano moltissimi film d’animazione negli ultimi anni, tutti cloni di Il mondo perduto di Arthur Conan Doyle, device narrativi e anche grafici molto ripetitivi, spesso tutti uguali. In questo caso il mondo altro è una foresta nera che nasconde in realtà un luogo che pare funzionare come un videogioco, una mappa che a seconda di chi la tocca crea una nuova realtà, che traccia in tempo reale i personaggi come fossero dotati di Gps e apre “schemi” differenti con “boss” diversi a seconda del percorso. Non è l’unico caso, un po’ tutto in Il Gatto Con Gli Stivali 2, a partire dal discorso sulle diverse vite esaurite e da “ricaricare”, sembra seguire la logica dei videogiochi, come fosse una cornice dentro la cornice, un mondo animato che funziona con i meccanismi videoludici.