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A oltre cinquant’anni dalla sua introduzione, il tempo del secondo intercalare (leap second) sta per scadere: a partire dal 2035, infatti, la pratica di aggiustare gli orologi ufficiali per mantenerli sincronizzati con la rotazione terrestre sarà sospesa. La decisione, come riporta un articolo su Nature.com, è stata presa quasi all’unanimità dai rappresentanti di tutti i governi del mondo il 18 novembre scorso a Parigi, durante la Conferenza generale del Bureau international des poids et mesures (Bipm). Il secondo intercalare è stato introdotto nel 1972: da quel momento, ogni volta che la misurazione del tempo determinato dalla rotazione terrestre diverge per più di 0,9 secondi da quella scandita dagli orologi atomici, si aggiunge un secondo, mettendo però a dura prova i sistemi digitali di internet e computer: è per questo che, tra un decennio, questa pratica sarà sospesa, almeno fino al 2135. Per allora, gli esperti si augurano di trovare un modo per armonizzare i due tempi senza problemi.
Tenere il tempo
Fin dagli albori della civiltà, gli esseri umani si sono sempre serviti della rotazione della Terra per segnare il tempo che passa. Nel corso dei secoli, poi, l’accuratezza della misurazione del tempo è migliorata in maniera costante, mettendo anche in evidenza le irregolarità nella velocità di rotazione della Terra: sulla base del sorgere del Sole, infatti, le giornate sono state suddivise in 24 ore, ciascuna di esse della durata di 60 minuti, ognuno dei quali di 60 secondi, nonostante la durata di una rotazione completa del nostro pianeta non sia sempre la stessa a causa di diversi fattori, legati soprattutto alle influenze gravitazionali della Luna e del Sole. Il Greenwich mean time (Gmt), scala temporale basata sulla posizione media calcolata durante l’anno del Sole a mezzogiorno al di sopra del meridiano di Greenwich, misura il tempo in questo modo e in passato è stata utilizzata per creare un orario standard internazionale (adesso conosciuto come Universal time, Ut1) che uniformasse la misurazione del tempo a livello globale.
Tutto questo fino al 1972, quando il Gmt è stato sostituito dallo Universal coordinated time (Utc), che integra la misurazione del tempo basata sulla rotazione terrestre (l’Ut1) con quella degli orologi atomici, strumenti ultra-precisi che misurano il tempo attraverso un oscillatore elettrico regolato dalle frequenze di vibrazione degli atomi di cesio. Nel 1967, infatti, il Sistema internazionale delle unità di misura ha definito il secondo come la durata di 9.192.631.770 periodi della vibrazione dell’atomo di cesio-133, utilizzandolo per creare una scala temporale chiamata International atomic time (Tai), secondo la quale un giorno dura esattamente 86.400 secondi. Si tratta di un sistema fin troppo preciso: poiché la scala Tai non è collegata alla rotazione terrestre e quest’ultima può modificarsi in maniera imprevedibile, i due sistemi di misurazione del tempo (Ut1 e Utc) non sempre sono perfettamente sincronizzati.
Una soluzione, diversi problemi
Finora la soluzione adottata per armonizzare tempo Ut1 e tempo Utc è stata quella di aggiungere – quando la discrepanza diventa maggiore di 0,9 secondi – un secondo al tempo Utc (che viene quindi chiamato secondo intercalare, o second leap) nell’ultimo minuto del mese di dicembre o giugno, oppure eccezionalmente a marzo o settembre. A differenza del giorno in più aggiunto durante gli anni bisestili, dal momento che le modificazioni alla velocità di rotazione della Terra sono irregolari e non prevedibili, l’aggiunta del secondo intercalare non avviene sempre, ma è l’International earth rotation and reference systems service (Iers), ente internazionale che si occupa dei sistemi internazionali di riferimento, a decidere se introdurlo o meno, sulla base della durata dell’Ut1. Dal 1972 ad oggi sono stati aggiunti 27 secondi intercalari, più o meno a intervalli irregolari, di cui l’ultimo nel 2016.
Eppure, l’aggiunta dei secondi intercalari ha sempre creato qualche problema tecnico, le cui conseguenze sono aumentate enormemente con l’avvento dei sistemi informatici globali, sempre più interconnessi e più dipendenti da tempi iperprecisi. “I secondi intercalari sono una seccatura“, aveva affermato in un articolo pubblicato su Nature.com nel 2011 Elisa Felicitas Arias, all’epoca direttrice del dipartimento del tempo del Bipm, quando già si parlava della possibilità di non ricorrere più al secondo intercalare.