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Influenza e Covid-19 stanno creando una situazione molto difficile nei reparti di pronto soccorso degli ospedali. Quest’anno, infatti, la stagione influenzale, con la cosiddetta influenza australiana, ha avuto un inizio piuttosto brusco, senza considerare la diffusione inarrestabile di Covid-19. Un mix pericoloso che ha fatto crescere del 50%, rispetto a settembre scorso, gli accessi al pronto soccorso. E la situazione non potrà che peggiorare nelle prossime settimane, soprattutto durante il periodo festivo, quando solitamente lo scambio dei virus è maggiore. Una situazione drammatica del tutto attesa, ma non si è fatto nulla per evitarla. È questa la denuncia del presidente della Società italiana di medicina di emergenza e urgenza (Simeu) Fabio De Iaco, secondo cui “la situazione è drammatica un po’ ovunque non più localizzabile solo in regioni come Lazio, Sardegna, Piemonte, Campania, Lombardia, ma anche in Veneto, Emilia Romagna Toscana o Friuli Venezia Giulia”, spiega l’esperto all’Ansa. “Ci aspettiamo il picco durante le feste, quando avremo più pazienti anziani ma anche più colleghi ammalati e quindi la necessità di coprire più turni con lo stesso personale, già ora scarsissimo”.
La somma dei fattori
Oltre a una stagione influenzale anticipata di circa un mese rispetto agli anni passati, che sta colpendo soprattutto i più giovani, la diffusione di Covid-19 è tornata ad aumentare, con numeri, secondo De Iaco, che sono molto maggiori di quelli ufficiali riportati dalla positività del tampone. “Molti arrivano con sintomi influenzali in pronto soccorso e scopriamo che è Covid solo al momento del tampone”, racconta l’esperto. “D’altronde, i sintomi oggi sono indistinguibili. E per i positivi abbiamo difficoltà a trovare spazi e personale per l’isolamento”.
Una sottostima, quella relativa alle diagnosi di Covid-19, che trova riscontro in un recente studio pubblicato sulla rivista Epidemiologia e prevenzione dell’Associazione italiana di epidemiologia, secondo cui fino a due diagnosi su tre di Covid-19 potrebbero non essere mai state notificate. Più precisamente, secondo l’analisi, nei primi due anni di pandemia la distribuzione per età delle frequenze delle diagnosi era stata abbastanza costante, mentre da gennaio a novembre scorso è stata osservata una diminuzione di diagnosi tra giovani e un aumento di quella tra gli anziani. L’ipotesi che avanzano gli esperti è che molte diagnosi potrebbero essere rimaste nascoste e mai comunicate alle Asl. “Sembra potersi ritenere che le diagnosi non notificate potrebbero essere più frequenti nei soggetti più giovani che intendono così sottrarsi ai controlli seppur, speriamo, mantenendo un comportamento di corretto isolamento”, spiegano gli esperti.
L’evoluzione
Inoltre, stando alle stime riportate dal monitoraggio indipendente della Fondazione Gimbe, relativo alla settimana dal 2 all’8 dicembre 2022, il numero dei tamponi totali è in calo (-5,2%), in particolare i tamponi rapidi del 4,7% e i molecolari del 7,3%. “La media mobile a 7 giorni del tasso di positività sale dal 13,5% al 14% per i tamponi molecolari e dal 17,8% al 18,1% per gli antigenici rapidi”, si legge nel documento. Sul fronte degli ospedali salgono i ricoveri sia nelle terapie intensive (+4,7%), sia in area medica (+9%) e aumentano anche i decessi. Secondo l’analisi, nella settimana dal 2 all’8 dicembre, le morti per Covid-19 sono aumentate dell’8% (da 635 a 686, di cui 15 riferiti a periodi precedenti), con una media di 98 al giorno, rispetto ai 91 della settimana precedente.