Questo articolo è stato pubblicato da questo sito
I risultati vengono quindi processati da un algoritmo che “analizza le differenze tra le due sequenze, quindi un software evidenzia le 34 mutazioni più importanti”, chiosa Bancel. E sono queste 34 mutazioni quelle che l’mRna iniettato nel paziente insegna ai linfociti T a riconoscere ed attaccare. Il sistema immunitario viene in altre parole addestrato a riconoscere e combattere la minaccia. Esattamente come avviene per la proteina spike del Sar-CoV-2.
I risultati dello studio
Lo studio ha coinvolto 157 pazienti affetti da melanoma in stadio III e IV, ovvero quelli rispettivamente in cui il tumore cresce più rapidamente e sviluppa metastasi. Sono stati scelti soggetti con metastasi ai linfonodi rimovibili chirurgicamente e con alto rischio di recidiva, pazienti il cui tumore era stato rimosso chirurgicamente 13 settimane prima di ricevere la prima dose di farmaci e pazienti in remissione dopo l’intervento chirurgico.
I soggetti sono quindi stati divisi in due gruppi. Al primo è stato somministrato per un anno esclusivamente Keytruda. Al secondo, invece, sono state inoculate nove dosi di 4157/V940, oltre a 18 cicli da 200 milligrammi di anticorpi monoclonali, ad intervalli di tre settimane l’uno dall’altro. Il risultato è che questo secondo gruppo ha mostrato una riduzione del 44% del rischio di recidiva rispetto a quello trattato con il solo Keytruda, che già aveva dimostrato una riduzione della recidiva superiore del 42% a quella ottenuta con Yervoy, anticorpi monoclonali in uso dal 2011.
L’impatto della pandemia sui vaccini a mRna
“Abbiamo perso un anno di tempo”. Risponde così Bancel quando gli si chiede se la pandemia e gli investimenti sui vaccini a mRna per combatterne la diffusione abbiano fatto da propulsore all’utilizzo di questa tecnologia anche per la cura di altre patologie. La stessa Moderna, a maggio di quest’anno, ha lanciato uno studio di fase 1 per un vaccino a mRna contro l’Hiv, il virus che causa l’Aids.
La realtà dei fatti, prosegue l’ad, è che “la pandemia ci ha rallentato. Eravamo pronti a partire ma i trial clinici sono stati sospesi per proteggere dal virus i pazienti oncologici”. Non ci fosse stato il coronavirus, in altre parole, “saremmo arrivati a questo punto un anno prima”, dice Bancel. Se insomma, il Sars-CoV-2 non ha giovato a questi studi, centrale è stato il ruolo delle tecnologie digitali. “Utilizziamo il cloud e l’intelligenza artificiale – spiega il dirigente -. Dieci anni fa realizzare questo prodotto sarebbe stato impossibile”.
I prossimi passi
Prima di arrivare sul mercato, il trattamento combinato con Keytruda e 4157/V940 dovrà superare il trial di fase 3. Ovvero quello in cui si valuta il rapporto tra rischi e benefici arruolando un numero di pazienti nell’ordine delle migliaia. Moderna e Msd intendono confrontarsi con le autorità regolatorie per avviarlo nel 2023. Ma non si tratterà solo di valutare l’efficacia su larga scala di questo trattamento.